Continuo a
pensare alle cartoline.
Il cielo sereno,
innanzitutto. Poi un bellissimo, smisurato, mare trasparente. Qualche onda
sulla battigia. Poco più in là, un paio di lidi. Ombrelloni, seggiole, pedalò.
Gabbiani che volano bassi. Sabbia fine fine, quasi polvere. Puntini lontani in
movimento, persone.
Ieri pomeriggio mi
sono immersa in uno di questi pezzetti rettangolari di cartoncino, e ho
iniziato a camminare sulle spiagge, cercando di ascoltare la voce delle acque
persa fra i bagnanti.
La prima onda
era inquieta, strepitante, ed è solo corsa a distendersi a riva.
La seconda mi ha
recitato una poesia:
oggi, in una bibbia di sale,
hanno scritto che annegare
è come stendersi nel mare
ma io so che fa più male
La terza onda
singhiozzava.
Giunta la
quarta, poteva dirmi, ma soltanto per sentito dire, di gente a migliaia in
partenza dall’altro lato della costa.
Finalmente,
la quinta onda era loquace, e sembrava intendersene di politica. In lontani
litorali, sotto le bombe e i regimi di sfruttamento di massa, uomini corrotti
mettono, in compenso di milioni, uomini disperati su barchette malconce; il
carburante va fino a un certo punto, poi svanisce, lasciandoli preda delle
correnti, sicché soltanto qualcuno arriva, qualcuno scompare, qualcuno nuota;
se toccano terra senza un regolare contratto di lavoro, in pratica se non sono
assoldati dai flutti, allora altri uomini, in divisa, li conducono in prigioni
temporanee; diventano uomini disperati e rifiutati, incapaci di andare avanti o
indietro, perché anche ricompiere una traversata avrebbe un prezzo troppo alto:
ogni atto del loro corpo in territorio straniero è illegale, che si respirare,
rapinare, parlare o camminare.
L’ultima onda
era ormai un lungo silenzio, una voce flebile e stanca. Mi ha detto prima che
dire era impossibile e poi: “tuffati se vuoi vedere”. Proprio così, “tuffati se
vuoi vedere”.
E io mi sono
tuffata, e dire del mondo di storie perdute sul fondo del mio mare, del suo
orrore, era proprio impossibile come mi ha bisbigliato l’onda; ma tuffarsi, per
quanto difficile, può farlo chiunque: basta anche solo tuffarsi negli occhi di
un uomo, di una donna, dei bambini sopravvissuti, sguardi che ristagnano in un
centro di accoglienza, permanenza, smistamento e disumanità.
Così, da allora,
continuo a pensare alle cartoline dall’Italia che vorrei mandare ai
responsabili, dal più potente al più insignificante.
Per prima cosa,
il cielo azzurro dopo una tremenda tempesta.
Poi un
bellissimo, sterminato, mare limpido.
Le onde stanche
che riposano e lasciano in pace la franchigia.
Qualche lido,
chiuso perché siamo in ottobre.
Ombrelloni,
seggiole e pedalò tutti nei ripostigli abusivi in calcestruzzo.
Fra i grani di
sabbia leggera, vestiti stracciati, oggetti usurati, occhiali, lamiere,
giubbotti, soldi marci, un barcone rattoppato.
Gabbiani che
volano veloci, approfittando dell’assenza di vento, a centinaia.