martedì 25 settembre 2012

Perché Camus non mette d’accordo nessuno




Nei momenti più oscuri del nostro nichilismo, ho cercato soltanto le ragioni per superare quel nichilismo. E non per virtù, né per rara elevatezza d’animo ma per istintiva fedeltà a una luce in cui sono nato e dove gli uomini hanno imparato da millenni a salutare la vita anche nella sofferenza
A.C.

Non c’è pace per Camus. Un articolo del 17 Settembre scorso apparso sul Corriere della Sera riferisce delle accese polemiche sulle celebrazioni del centenario della nascita dello scrittore algerino. Resta ora vacante il posto di organizzatore della mostra che gli sarà dedicata nel Novembre del 2013 ad Aix-en-Provence. Il compito, prima affidato da Cathrine Camus, figlia dello scrittore, a Benjamin Stora ed ora abbandonato anche dal filosofo Michel Onfray , non riesce a trovare il giusto interprete. Stora, storico colonialista, era stato licenziato per le pressioni della Destra di Aix-en-Provence, per le sue posizioni sul ruolo avuto da Camus nella lotta per l’indipendenza algerina. Strenuo difensore della convivenza tra arabi e pied-noirs, Camus osteggiò fortemente la politica repressiva dell’amministrazione coloniale francese nei confronti degli “indigeni”, senza però mai fomentare le pulsioni terroristiche del Fronte di Liberazione Nazionale algerino. Onfray, trovando per contro le diffidenze della Gauche e del ministro della cultura Aurélie Filippetti, ha deciso di rinunciare all’incarico. Parlando di “nave dei folli”, Onfray ha denunciato le macchinazioni e le ipocrisie di una vera e propria guerra civile nel mondo della cultura francese. Uno scenario tristissimo che certamente non rende onore all’onestà intellettuale di Camus. A tutto ciò fa eco il dibattito turbolento in Algeria sulla vicinanza dello scrittore alla causa dell’indipendenza. Totem del colonialismo francese o difensore del popolo arabo? La figura dell’autore de “La Peste” continua a dividere e a suscitare accanite opposizioni. 
Riferimento della sinistra comunista, e “annesso” da Comunione e Liberazione nel tradizionale meeting riminese del 2010: il paradosso rende bene l’idea della difficile collocazione di uno spirito libero e anarchico. C’è probabilmente una ragione profonda nell’impossibilità di ridurre il pensiero di Camus a scorciatoie dogmatiche e semplificazioni faziose. Il vestito messo a “L’Uomo in rivolta” è troppo stretto.
Come scrive in uno dei saggi de L’Estate “ogni mutilazione dell’uomo può essere soltanto provvisoria e non si serve in nulla l’uomo se non lo si serve tutto intero.” Alla dottrina Camus antepose sempre l’uomo, tutto intero, con le sue esaltazioni e le sue bassezze, i suoi amori e suoi crimini. Di fronte alle guerre e alla distruzione del suo secolo grondante di sangue, Camus non dimentica la bellezza delle spiagge sabbiose dell’Algeria, il sole accecante del Mediterraneo che illumina e abbaglia. “Al centro della mio opera” disse “c’è un sole invincibile”. Un’infanzia vissuta nella miseria non gli poté impedire di godere dello splendore del suo paese; uno splendore che portò sempre nel cuore per tutta la vita. E’ questo ciò che lo distingue fondamentalmente da tanto pessimismo diffuso tra gli intellettuali del suo tempo.
Il Novecento è stato il secolo della totalità: il nichilismo getta l’uomo a capofitto nell’inferno della guerra, e della rivolta per la conquista di una salvezza assoluta. Ad una giustizia parziale l’uomo preferisce una ingiustizia generalizzata. Ma nessun ideale giustifica l’omicidio; la speranza di una salvezza di là da venire non garantisce a nessuno il diritto di armare la propria mano.
Nel secolo della totalità egli rivendicò il valore della misura. La Nemesi, nell’antica Grecia non è la Dea della vendetta ma quella della misura, che punisce chi varca il limite. Il grido della rivolta, alla lunga, irrigidisce il cuore, e l’uomo che protesta finisce per dimenticare le ragioni del suo stesso dolore.  La ricerca della giustizia invece impone invece di tenere lo sguardo sul confine indistinto che separa la luce dall’ombra, la bellezza dalla morte. Denunciare l’ingiustizia, senza voltare le spalle alla luce: questa la via spirituale di Camus per una salvezza terrena. Ed è forse proprio la fedeltà alla misura che spiega le apparenti ambiguità sulla questione algerina: Camus non smise mai di credere nella possibilità di una serena convivenza tra il popolo algerino e i francesi. Tuttavia, solo la parità dei diritti, una Costituzione e un Parlamento indipendente avrebbero potuto portare ad una serena risoluzione del conflitto. L’ostracismo dei pied-noirs avrebbe reso impraticabile questa via, spingendo gli algerini alla rivendicazione armata, condannata da Camus senza mezzi termini. 
Annettere Camus alla propria causa resterà un’impresa ardua, ma non  ce ne dogliamo. Non è forse questa la più autentica certificazione della forza di un uomo che, più che a tutto il resto, aspirava alla pace e alla libertà?

Alberto Donadeo

Fonti:
-Questa lotta vi riguarda. Corrispondenze per Combat 1944-1947” Albert Camus, I Edizione Bompiani2010
-“L’Estate e altri saggi solari” Albert Camus  II Edizione Tascabili Bompiani 2010
-“Una nuova guerra d'Algeria per il centenario di Camus” Stefano Montefiori, Corriere della Sera 18 Settembre 2012   
-“Albert Camus, the outsider, is still dividing opinion in Algeria 50 years after his death” Peter Beaumont, The Observer 28 Febbraio 2010, www.guardian.co.uk