giovedì 29 dicembre 2011

2011: un anno in 20 date

12 Febbraio
Comincia la primavera Araba, l’Egitto è libero, cade Mubarak
11 Marzo
Terremoto in Giappone: emergenza nucleare nella centrale di Fukushima
17 Marzo
L’Italia festeggia 150 anni di unità nazionale
2 Maggio
Osama Bin Laden è ucciso da un blitz delle forze statunitensi. La folla in festa a New York.



15 Maggio
Cominciano le proteste degli Indignati in Spagna
12 Giugno
Vincono i SI nel referendum abrogativo sull’acqua pubblica, il nucleare e il legittimo impedimento
22 Luglio
Strage del campus laburista di Oslo, la Norvegia piange 68 morti
25 Luglio
Crolla il rating greco, il default è certo. Guerriglia urbana ad Atene
5 Agosto
La BCE censura i conti pubblici italiani e invia una lettera al governo Berlusconi, resa nota solo il 29 Settembre
17 Settembre
La protesta Occupy Wall Street, a Zuccotti Park
3 Ottobre
Amanda Knox e Raffaele Sollecito sono assolti dalla corte d’appello di Perugia
5 ottobre
Muore Steve Jobs, fondatore della Apple Inc.
15 Ottobre
 Manifestazione degli Indignati: i Black Block devastano Roma
20 Ottobre
Il dittatore libico Gheddafi muore ucciso dai ribelli
1 Novembre
L’italiano Mario Draghi diventa presidente della BCE
4 Novembre
La Liguria messa in ginocchio dall’alluvione. A sinistra i volontari a lavoro, gli angeli del fango.
12 Novembre
Berlusconi consegna le dimissioni, la folla in giubilo a Montecitorio
16 Novembre
Il governo Monti presta giuramento








10 Dicembre
120.000 manifestanti creano il più grande movimento di protesta contro Putin
18 Dicembre
Le truppe statunitensi lasciano l’Iraq.











A voi di aggiungere altre date che ritenete rilevanti ma da noi tralasciate.

domenica 18 dicembre 2011

Torino e Firenze: quando l’integrazione non s’ha da fare.

Mai storia fu più attuale di quella di Renzo Tramaglino e di Lucia Mondella.  Lo sforzo immaginativo necessario  è spostare il paesaggio dal lago di Como al tratto di Po che attraversa Torino, e il gioco è fatto. Il piccolo pogrom dello scorso 10 Dicembre non è che il sunto dei terribili topoi arcaici  del nazionalismo italiano, evidentemente mai superati. Quando anche il romanzo dei romanzi, simbolo dell’Italia unita,  quale i Promessi Sposi gira intorno al tema della donna violata dal barbaro straniero,  solo un amaro sorriso di sdegno può accompagnarmi mentre seguo la cronaca dei fatti.  Il tema risorgimentale della donna violata è paradossalmente molto caro alla Lega Nord che cavalcando l’onda del populismo e dei luoghi comuni, riaccende l’orgoglio virile, puntando all’emotività degli ignoranti.  La rozzezza del branco di maschi pronto a difendere le “nostre” donne dallo straniero  e  la “purezza” della discendenza è un orrore alimentato anche dall’aggressiva campagna propagandistica della Lega Nord che ha inculcato il modello dello stupro dello straniero ai danni delle donne italiane.  Tesi quanto mai confermata dalla versione dei fatti inizialmente riportata dalla ragazza, a seguito del presunto stupro: nella mente dell’ingenua,  specificare che l’autore della violenza sessuale fosse un rom, un immigrato, un profugo,  era  quanto mai più verisimile che accusare un uomo x qualunque, privando la descrizione del particolare sulla “razza”.   Ma il remake moderno della pia Lucia è quanto mai significativo: portatrice di un valore di castità non sentito, ma tramandato ed imposto da una realtà filtrata ancora da categorie interpretative non più riproponibili, o almeno non più in questa forma.  Accanto alla giovane vergognosa della “verginità perduta” , il fratello protettore, più che mai esaltato dall’odio razziale, che si lancia  nella difesa dell’innocente. Michele Serra nell’Amaca del 14 Dicembre, giustamente richiama l’immagine del “fuoco sacrificale”, che incendiando  il campo rom avrebbe nuovamente purificato la giovane dalle mani nere e sporche dello straniero.  La tensione eroica e titanica dei giovani torinesi si distrugge con un colpo di scena tragi-comico, e con un totale rovesciamento dei ruoli: le ammissioni sconcertanti della ragazza mettono in luce tutti i paradossi e le contraddizioni del nostro tempo.   Pochi giorni dopo, gli avvenimenti di Firenze completano il quadro felice di un’Italia umiliata da un’involuzione culturale e sociale, ancora costretta negli spazi angusti  della xenofobia. La dignità delle lacrime dei giovani senegalesi riuniti intorno ai morti non fa che evidenziare l’esigenza di un atto di mea culpa, di un atto di profonda e sincera umiltà, che sola può essere il primo passo per una cultura di pace fra i popoli.
Lucia de Marco

Bibliografia: "Dell'uso pubblico del Risorgimento, e di un'antologia di documenti" Alberto Mario Banti, Ed. Laterza 2010

giovedì 1 dicembre 2011

Decapitati e felici: come la crisi può cambiare il ruolo del leader.

Sic transit gloria mundi” Così chiosava Berlusconi poche ore dopo l’assassinio di Gheddafi per mano dei ribelli libici. E’ più o meno la stessa cosa che abbiamo pensato tutti di lui, quando saliva al Quirinale per rassegnare le dimissioni , per poi scappare a bordo della sua auto blu braccato dalla folla in giubilo. Il re è nudo.  La farsa del giullare nei palazzi di potere è finita e nonostante lui continui a giurare di voler raddoppiare il suo impegno e di non volersi affatto tirare indietro l’immagine dell’uomo politico resta stavolta irrimediabilmente compromessa.
C’è un’attrazione fatale per il leader finalmente uomo, il capo sdivinizzato.  Davanti al Quirinale, come a Piazzale Loreto, agli italiani sembra non manchi mai la passione irresistibile di voler infierire sull’uomo a cui abbiamo dato tutto, e che adesso ripudiamo profondamente indignati.  Costruiamo monumenti, issiamo bandiere e poi li abbattiamo. Quanto è breve il tempo che impieghiamo per distruggere le verità dei nostri profeti. Ma il Capo non può scappare al suo destino inevitabile: osannato e poi tradito. Cosa ci lega così profondamente al leader, quali istinti insopprimibili ci fanno inseguire l’uomo della Provvidenza?
Eppure tutto il mondo sta vivendo un progressivo indebolimento delle leadership forti, soprattutto la politica. Gli indignados non hanno leader, non ci sono profeti perché l’organizzazione è paritaria fin dalle sue fondamenta: sui social network, dove il movimento si sostanzia oltre che nelle piazze, non esistono titoli: “tu vali quanto me e la mia parola vale quanto la tua”.
 A Zuccotti Park, assembramento degli “Occupy Wall Street” Roberto Saviano ha urlato il suo intervento senza microfono perché tutte le amplificazioni sono bandite. Non si riesce davvero ad immaginare qualcosa di più sovversivo di tutto questo: un movimento veramente libero perché –l’istinto ci dice così–  una società libera sussiste solo laddove non ci sia nessuno più importante dell’altro. I partiti soffrono moltissimo questa mutazione e cercano di stare al passo dei nuovi linguaggi partecipando ai dibattiti sulle comunità virtuali: ciononostante noi continuiamo ad identificare il programma con il segretario di partito, il movimento con la figura cui fa capo.
Non il riformismo o la sinistra radicale ma Bersani e Vendola; non il centro e la destra neo-liberista ma Casini e Alfano. Se c’è qualcosa che i movimenti devono insegnarci è il primato delle idee su quello delle ragioni individuali. Può essere questo un nuovo modo di fare politica che non debba necessariamente tornare al voto ideologico, ma che faccia del confronto tra i programmi e non tra gli uomini il terreno del dibattito. Non guardiamo nostalgici all’assemblearismo anni ’70 ma crediamo che la verità possa emergere semplicemente dal basso se non si delega sempre ai signori dei palazzi di potere il diritto di decidere.
Immaginare scenari di questo tipo è forse ancora un po’ precoce. I nostri bisogni più profondi ci spingono a fidarci dell’Uno, la persona carnale, magari filtrata dallo schermo del televisore, e quindi fittizia, ma l’Uno individuato.  Beato chi non ha bisogno di eroi, diceva Bertolt Brecht. Purtroppo noi continuiamo a non poterne fare a meno.

Alberto Donadeo