venerdì 10 febbraio 2012

"Ho lasciato uomini e ho incontrato altri uomini". Intervista a Mbacke Gadji, scrittore e attivista senegalese.

“Ho lasciato uomini e incontrato altri uomini” E’ così che Mbacke racconta la sua vita da migrante, riportando in una dimensione umana un problema che vuol dirsi moderno e che in realtà ha origini nelle radici più profonde della nostra specie. In un mondo globalizzato, se globalizzazione non vuol dire solo collegare uomini attraverso reti virtuali, la condizione del migrante dovrebbe essere il simbolo perfetto di quei diritti che devono affermarsi come universalmente validi. E’proprio l’idea di uomo in movimento che deve rendere ogni angolo della nostra terra “interscambiabile”. Un uomo qualunque che si trovi in un pezzo d’Asia, d’Africa, che si trovi in Europa o America, percorra pure ogni centimetro di terra, ma sarà sempre un uomo con dei diritti. I fatti di attualità oggi più che mai evidenziano un mondo malato,che riduce un fenomeno antropologico e culturale quale l’immigrazione ad un semplice fattore d’ordine economico e pubblico dei paesi “ospitanti”. Dunque è sempre più rilevante l’urgenza di mettere ordine. Mentre i politici italiani, ma in generale le politiche europee cercano una soluzione contrastando “i barconi clandestini” e regolamentando i permessi di soggiorno, noi riportiamo il problema all’origine:  Che i movimenti degli esseri umani siano nuovamente dettati dalla volontà di condivisione di risorse, esperienze e culture, e non dalla necessità di sopravvivenza, dalla lotta estrema per un pezzo di pane e un tetto sotto cui dormire. 
Abbiamo deciso di dialogare su questi temi con Mbacke Gadji, scrittore e attivista senegalese, che ci ha fornito informazioni ed esperienze raccolte di prima mano. Nato a Nguith, ha lasciato il suo paese nel 1986, migrando in Francia e in Italia. Ha collaborato come pubblicista per alcune testate nazionali, dal 1996 al 1998 è stato consigliere circoscrizionale della zona 3 a Milano e attualmente collabora con il Gruppo Solidarietà Come. Ha pubblicato con le Edizioni Dell’Arco, Numbelan: il regno degli animali; Lo spirito delle sabbie gialle; Pap, Ngagne, Yatt e gli altri; Kelefa, Nel Limbo della terra e Piove Sul Ndoukouman.
Approfittando del suo ruolo di attivista, abbiamo incentrato le nostre domande sui fatti più recenti di attualità che riguardano il tema dell’immigrazione e del razzismo e dunque:  l’uccisione dei senegalesi di Firenze, il pogrom di Torino, e le vicende intorno a Casa Pound.
  • Dopo la strage di Firenze, in tanti si sono prodigati per derubricare l’assassinio di Mor  e  Modou come il gesto di un folle, piuttosto che il prodotto di una cultura xenofoba. Quanto razzismo c’è nella violenza di Gianluca Casseri, e quanta pazzia?
La strage di Firenze non è il gesto di un folle, si è trattato di una vera e propria esecuzione. È  senza alcun dubbio l’apoteosi di una cultura malata dell’estrema destra in Italia, quale l’odio razziale e la xenofobia verso le minoranze. Non si tratta di un atto singolo di uno squilibrato, il fine è  quello di creare paura, terrore;  cercare di disintegrare la coesione sociale e il processo indispensabile d’interazione che con tanta fatica si tenta di costruire nel paese. L’assassino era consapevole e, nel suo inaudito e abominevole gesto ha cercato per lo meno di distinguersi dal suo gruppo ai fini di diventare martire. La cronaca dei fatti dice che dopo la prima sparatoria “l'aggressore e' poi risalito sull'auto ed e' scappato, per ricomparire due ore dopo al Mercato Centrale, vicino piazza Duomo. Qui ha aperto il fuoco contro altri due venditori senegalesi, ferendoli”. Tentare di bollare il gesto come quello di un folle o addirittura giustificarlo è altrettanto grave e inquietante in quanto il fatto è autenticamente motivato dall’odio e dal razzismo.

  •         “ […] il console e il presidente della comunità senegalese di Bari accoglievano CasaPound Italia riconoscendo il comune dolore per la tragedia di Firenze”: queste le parole che compaiono sul sito di CasaPound Italia, nonostante l’imbroglio denunciato dal sindaco Michele Emiliano e dalla comunità dei senegalesi. Ci spieghi la tua versione dei fatti?
Il tentativo di CasaPound di discolparsi dell’assassino di fronte al console del Senegal a Bari e del Presidente dell’Associazione dei Cittadini Senegalesi di Bari e Provincia è un atto dispiacevole e di cattivo gusto. Il fatto che il console e il presidente dell’associazione siano stati presenti e abbiano condiviso il dolore con l’inviato di CasaPound è un gesto altrettanto grave. Pensando all’accaduto capiamo che c’è stato un vizio di forma in quel intervento e questo avrebbe potuto ingannare o imbrogliare, come giustamente è stato denunciato dai protagonisti. CasaPound doveva mandare un rappresentante prima di andare ad esprimere il suo dolore per l’accaduto ma soprattutto chiedere di essere ricevuta dai rappresentanti del gruppo stesso. Questi ultimi avrebbero avuto il tempo di verificare di chi trattasse. Un’altra cosa è che l’emissario del gruppo neofascista si è presentato come un membro di una Onlus di sostegno per l’Africa e che collabora con la  popolazione, ma che  dopo l’incontro invece ha comunicato l’accaduto come membro di CasaPound. La domanda  che sorge spontanea è, come mai un noto avvocato di Bari come il  console non abbia avuto  le informazioni necessarie per riconoscere nella presunta associazione Onlus i membri del gruppo di estrema destra? Devo dire che il console non ha mai smentito o rinnegato CasaPound in tutta quella vicenda. Il Presidente dell’Associazione dei Senegalesi di Bari e Provincia ha invece preso davanti a me e ad altri testimoni le distanza dall’accaduto. Ingenui, inconsapevoli o altro, mi riservo di giudicare, ma posso ribadire che la vicenda è  grave per tutti quelli che s’impegnano da sempre perché il razzismo e  le sue implicazioni siano sradicati in Italia e nel mondo.        
  •        Dopo l’ondata di proteste seguite all’incendio del campo rom di Torino il ministro Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, ha proposto l’assegnazione di una casa a quelle famiglie, «perché la vita in una casa favorisce l’integrazione e il superamento della provvisorietà». Come giudichi la proposta avanzata dal ministro?
La proposta del ministro è lodevole ma deve essere estesa a tutte le famiglie e agli individui in quella condizione e non solo agli abitanti del campo di Torino. Penso che la scelta di vivere in un camper per questo  “popolo del viaggio“ (nomadi per tradizione) non sia un problema, se mai, lo sono gli spazi di approdo che sono senza attrezzature adeguate (acqua, luce,docce e bagni). In qualche modo, se si ritiene giusto e opportuno di trovare un alloggio a  questa gente e a tutti i senzatetto, certamente si restituisce un diritto fondamentale:  la dignità umana prima di ogni altra cosa. Tuttavia penso  che l’integrazione (preferisco l’interazione) non sia legata al luogo in cui si vive  ma al rapporto con la cittadinanza, ossia al rispetto reciproco e al dialogo con il diverso. Se l’integrazione è abbandonare i propri usi e costumi per abbracciare quelli di un’altra cultura maggioritaria, avere una casa in mezzo alla gente potrebbe certamente essere un elemento determinante ma … Credo, anzi sono sicuro che non è questo  lo scambio o l’interazione tra due o più culture che sono chiamate a convivere.
  •         Il governo Berlusconi, nell’Aprile del 2011, aveva subito la bocciatura da parte della Corte di Giustizia dell’UE della norma che introduceva nel nostro ordinamento il reato di clandestinità. Cosa ti aspetti dal nuovo governo in termini di politiche sociali a sostegno dell’integrazione?
Il nuovo governo deve cancellare tutta la trama razzista e xenofoba del governo precedente che sotto l’impulso razzista della Lega, ha tessuto sull’immigrazione. Le politiche per una migliore e effettiva partecipazione degli stranieri partono dall’accoglienza e della solidarietà, passano attraverso una serie di provvedimenti che istruiscono, educano e formano i ragazzi per poter cogliere le opportunità sul mercato del lavoro fino alla chiusura dei centri di identificazione e espulsione, lagher dei nostri tempi.    
  •      Nel tuo ultimo libro “Nel limbo della Terra” (Edizioni Dell’Arco) affronti il problema della migrazione e della violenza in Europa. Pensi che la letteratura possa svolgere un ruolo “positivo” rispetto alla questione del multiculturalismo
 Magari sarà un’utopia ma, credo fermamente che la letteratura non sia solo per raccontare la vita dei popoli, ma che  serva anche ad indirizzarli e informarli sulla qualità e il grado di cultura che produce. Cultura che a sua volta è lo strumento della comunità per vivere meglio. Quindi posso affermare che la letteratura ha un ruolo preponderante nel processo di multiculturalismo in atto in Italia e nel mondo. I miei modesti scritti in questa disciplina vanno nella direzione di favorire l’incontro e lo scambio culturale in Italia.    
  •        Dopo l’appello lanciato dal Presidente della Repubblica  Napolitano sembra sia arrivato finalmente il momento per garantire il voto a tutti i nati in Italia. Vuoi lanciare un appello?
Vorrei che potessero votare tutti quelli che risiedono legalmente in Italia. È una prova di civiltà e di democrazia di alto livello. È giusto e doveroso l’appello del presidente della repubblica, lo salutiamo e speriamo che sia l’inizio di un processo di restituzione del diritto di cittadinanza ancora non totalmente garantito in questo nostro paese. 

 Lucia de Marco      Alberto Donadeo