venerdì 8 marzo 2013

8 Marzo, la storia che non ti aspetti


Perché una “festa della donna”? C’è forse una “festa dell’uomo”? E’ in fondo, come San Valentino, solo un’occasione per regalare un po’ di fiori e cioccolatini, una cenetta fuori e poi tutti felici (o infelici) come prima?
No! E’ tutto – e dico tutto – sbagliato.
Partiamo da una premessa fondamentale: se vogliamo dare il giusto nome alle cose, stiamo parlando della Giornata Internazionale della Donna, niente feste e pasticcini.
Ma certo, potrebbe esclamare qualcuno, l’8 marzo si ricorda la morte di centinaia di operaie nel rogo della fabbrica di camicie Cotton avvenuto nel 1908 a New York. Si, un po’ di popcorn, una bibita gasata e sarebbe veramente un bel film. Peccato che non sia mai esistita una fabbrica Cotton, a New York, nel 1908. Per fortuna che l’8 Marzo 1908, non ci fu nessun rogo. E allora cos’è questo 8 Marzo? 08-03.…mi sa che questa volta i Maya non c’entrano, magari la kaballah ebraica?! Dai, non scherziamo.
Siamo in verità nel 1917, a San Pietroburgo e – avviso i deboli di cuore – c’entrano un pochino i comunisti. Le donne della capitale russa guidarono una grande manifestazione che rivendicava la fine della prima guerra mondiale: la fiacca reazione dei cosacchi inviati a reprimere la protesta incoraggiò successive manifestazioni che portarono al crollo dello zarismo, ormai completamente screditato e privo anche dell’appoggio delle forze armate.
E così l’8 marzo 1917 è rimasto nella storia a indicare l’inizio della «Rivoluzione russa di febbraio» (secondo il calendario giuliano allora in vigore in Russia, eravamo al 23 Febbraio). Per questo motivo, e in modo da fissare un giorno comune a tutti i Paesi, il 14 giugno 1921 la seconda Conferenza Internazionale delle Donne Comuniste, tenuta a Mosca una settimana prima dell’apertura del III congresso dell’Internazionale Comunista, fissò all’8 marzo la «Giornata internazionale dell’operaia».
Non è infatti un caso che la prima giornata internazionale della donna in Italia venne organizzata dal Partito Comunista Italiano, nel 1922. Come non è un caso che pochi anni più tardi, sempre in Italia, venne pubblicato sul periodico ‘Compagna’ una lettera di quel cattivone di Lenin che ricordava l’8 marzo come Giornata internazionale della donna, la quale aveva avuto una parte attiva nelle lotte sociali e nel rovesciamento dello zarismo. Aspetta un attimo, stai correndo troppo! Vorresti dire che ogni anno festeggiamo la “Giornata internazionale dell’operaia” indetta dall’Internazionale Comunista? Vuoi dire che sinistra, centro, destra, su e giù ogni anno si uniscono nelle celebrazioni di una festa comunista? No. Sarebbe stupido e pretenzioso attribuire un tema delicato quale il riconoscimento del ruolo sociale della donna ad un singolo schieramento politico, rendendolo un possesso esclusivo. Probabilmente per questo, insieme alle tragiche conseguenze della seconda guerra mondiale e della divisione del globo, si è “preferito” sorvolare sull’origine storica della celebrazione, per renderla la più universale e condivisibile possibile.
Non è di certo per scrivere un apologo del comunismo che ho scritto quest’articolo. Non è nemmeno per denunciare manipolazioni storiche, non è il mio campo. Penso però che un elemento sia assolutamente necessario ricordare riguardo l’origine storica della “festa della donna” (spero che ormai possiamo attribuire il giusto significato a questa dicitura che – diciamolo – è nettamente più comoda).
La festa della donna non è nata in un salotto di intellettuali. Non è nata dai romanzi rosa, non è nata tra le righe del dolce stil novo. E’ nata in piazza, durante la guerra, tra le truppe schierate pronte a caricare. E’ nata nelle fabbriche, dove era una quotidiana lotta, non solo per iniziare il lavoro, ma anche per finirlo in vita. Quindi la festa della donna non è il trionfo del buonismo e del politically correct. Non è una “concessione del sistema maschilista al sesso debole”. E’ stata una conquista, una battaglia, con i suoi morti, i suoi feriti, la sofferenza e la paura. Tra l’altro, non una conquista unicamente dei propri diritti, della propria affermazione sociale, ma una battaglia combattuta – come nell’episodio dell’8 Marzo 1917 - per la vita e la libertà di tutti, uomini e donne, senza distinzione. Quindi, invece di regalare alle donne fiori, cioccolatini, mimose, invece di cercare disperatamente di guadagnarsi un “grazie”, sarebbe forse meglio che fossimo noi uomini a dire, sinceramente: “Grazie!”

Federico Labriola 

Cara Virginia


“Chi mai potrà misurare il fervore e la violenza del cuore di un poeta quando rimane preso e intrappolato in un corpo di donna?” . E chi mai d’un  operaio,  d’ un manager, di un musicista, di uno studioso, di un professore, di un politico, chi mai potrà misurare l’impetuoso moto dei sentimenti , delle passioni più profonde, quando rimangono intrappolati nel corpo di una donna? Virginia Woolf cento anni fa indagava sulle donne e la scrittura. Cento anni fa Virgina Woolf sognava donne ciascuna con una propria stanza, perché è quella stanza, sola, intima, autonoma,  la chiave che apre l’ispirazione del poeta. Donne libere in quanto indipendenti, donne libere in quanto sole col proprio lavoro e la propria coscienza, e tutto il resto fuori.
Cent’anni dopo siamo ancora qui a sognarci, Virginia.  Cosa vedo?
Vedo donne che votano, donne con giacca e pantaloni, donne che studiano,  donne che lavorano, donne in politica, donne scrittrici, donne senza mariti.
Eppure Virgina, quella “stanza tutta per sé” le donne ancora non ce l’hanno. Se quella stanza era indipendenza e libertà, una donna non è libera se non può smettere di amare con la paura di morire, se per firmare un contratto deve allargare il decolté, non è libera se per quella strada buia non può tornare tardi a casa, non è libera se indossa la minigonna e ..“se l’è andata a cercare”, se tace in imbarazzo a motteggi volgari, non è libera se essere madre e lavoratrice non è ammesso nella stessa vita. Ed è così che il poeta, l’operaio, il manager, il musicista,  lo studioso, il professore, il politico, sono in trappola nel corpo femminile.  Il nostro corpo è ancora il limite invalicabile per raggiungere “quella stanza”.

Oggi la città è costellata di punti gialli e verdi, batuffoli di fiori fra le mani e sul petto delle donne. Auguro a tutte voi che abbiate “una stanza tutte per sé” dove riporre e ammirare i vostri doni. E  forse insieme, uomini e donne,  realizzeremo i sogni di Virginia.
Oggi è l’otto. Ma noi lottiamo tutto l’anno.

Lucia de Marco