lunedì 22 aprile 2013

PD: la parabola dei perdenti a vita

Tralascerò i rituali preamboli perché i fatti sono noti a tutti, e andrò dritta al punto: sabato abbiamo assistito in diretta alla ennesima disgregazione della sinistra italiana, e alla resa (non formale ma materiale) della Repubblica Parlamentare;  e  l’incapacità di mediazione fra popolo e palazzo è il dato essenziale per comprendere entrambe le disfatte. Il Parlamento non è  più il collante fra paese reale e paese legale, dunque urge che  la nazione torni ad autogovernarsi eleggendo direttamente la più alta carica dello stato. La corte dei miracoli guidata da PD, Scelta Civica e PDL in processione al padre generoso è una sorta di ammissione di impotenza. E il padre, al limite fra reale generosità e il reiterato errore di viziare i figli, accetta,  pur non avendo elisir di lunga vita. Il punto è dare un nuovo assetto istituzionale a questo paese,  per sua natura immobile nella storia fra dittature o municipalismi: una democrazia stabile in Italia è un ossimoro. Un Parlamento incapace, un “presidenzialismo di fatto” e dunque il funerale dei partiti: il PD riposi in pace, ma la sua è solo la cronaca di una morte annunciata. E’ vero: ci ho sperato,  ho creduto  (e credo ancora) nella buona fede di Pier Luigi Bersani, ma la campagna elettorale “con le mani in tasca” ha solo ridisegnato la ben nota parabola dei perdenti a vita. Ha ragione Renzi, alla sinistra piace perdere, ha ragione Civati, la sinistra odia la sinistra, ha ragione Travaglio: siete coglioni o siete complici?. Ma nel desolante processo di autodistruzione del PD, finalmente sono venuti al pettine tutti i nodi di questo partito che ha soffocato differenze troppo profonde per essere trascurate. Il PD è una compagine disomogenea che è esplosa al punto di negare se stessa col gesto infame che ha tradito Prodi. Valicato (ancora una volta) il limite del “mai con Berlusconi”, ecco riemergere  tutte le contraddizioni. La base ancora illusa e delusa, manifesta, reclama dignità, brucia le tessere, occupa le sedi. “Perché no Rodotà”, è la domanda di tutti, ed è il punto della questione. E’ lo spartiacque che delimita la fine degli interessi di parte, esattamente alla stregua del “Perché no la Boldrini”, “Perché no Grasso”: le domande degli elettori del M5S, affatto esente da queste logiche. Come ha giustamente proposto il Manifesto l’auspicio è un anno zero della sinistra. La scissione del PD non è un rischio, è doverosa per un elettorato puntualmente ingannato, che vota in negativo, vota il famigerato “meno peggio”.  Mentre in alto si conferma il presidente del nuovo inciucio, il PD ceda “le insegne imperiali” alla base, solo da qui poi, si può ricostruire.


Lucia de Marco