sabato 17 marzo 2012

Sul fallimento della Scuola-Azienda

Il fallimento della democrazia nel nostro paese si accompagna alla desolante decadenza dello stato della cultura e dell’istruzione. L’imperativo “crescere per crescere”, la nevrotica corsa verso il profitto immediato, taglia le radici culturali e la memoria storica in favore di abilità pratico-scientifiche, idonee alla produzione del bene materiale ed economico. E’ da questa idea che nasce la scuola come “azienda”, fabbrica di “utenti” e “numeri” non di cittadini. In merito a questi temi pubblichiamo l’articolo di Mattia Schino, che riporta la sua esperienza di studente nel nuovo modello di scuola che si va affermando; con la speranza di nuove collaborazioni esterne rivolte a tutti coloro desiderino partecipare e arricchire il nostro dibattito.

Il sapere, la conoscenza e l’istruzione sono alla base di fenomeni dinamici spesso fraintesi e confusi fra loro, senza reale cognizione di causa e privi di qualsiasi linea d’identità. Alcune domande ci servono per avere un’idea del panorama effettivo di quella che è oggi l’esperienza degli studenti. Che scuola vogliamo per il futuro? Che modello di apprendimento desideriamo per le generazioni dell’avvenire? Vogliamo realmente dei banchi che servano solo per riscaldarci le natiche e prendere la forma dei nostri fallimenti, o forse aspiriamo a una scuola che sia soprattutto sostegno, guida e risorsa nel nostro cammino? Chi ci sta aiutando in questo percorso? Chi ci è concretamente e onestamente vicino? Chi non ci vuole tagliare le gambe prima ancora di prendere il volo? Chi ci insegna davvero? Chi mantiene una propria integerrima etica professionale di docente e non si lascia trasportare dalle logiche della corrente? Chi ancora si fa garante dell’onestà intellettuale, preoccupandosi di presentare il vastissimo panorama della classicità e della cultura in generale con una parvenza almeno di imparzialità e oggettività? Chi cresce insieme a noi, chi riconosce che valutare non significa assolutamente giudicare, bensì patire insieme fatiche e frutti dell’insegnamento? Chi ritiene di essere legato a noi studenti per effetto di una salda ed energica vocazione professionale? … Chi ce l’ha ancora tale vocazione? Chi è disposto a donare passione per la disciplina di cui s’interessa, a trasmetterla a noi in atteggiamento di proposta, a darci una tangibile speranza e un segno concreto che la mattina non veniamo qui per perdere tempo?

Basta con la scuola del profitto che sopprime il merito vero, che preferisce i numeri della quantità agli spazi fertili della qualità! Basta con l’indottrinamento dell’utilità, basta con lo sforzo sproporzionato di forgiare fenomeni da baraccone saturi di nozionismo, anzi che cittadini veri del mondo e della società civile! Basta con le presunzioni di sapere, basta con il considerarci cifre apatiche di un’equazione (la scuola) che è tutta in sé un’incognita! Basta al nepotismo, basta alla proliferazione delle raccomandazioni (già da ora!) , basta con l’atteggiamento di negligenza e insofferenza nei riguardi di chi è davvero ben disposto a imparare per la vita! Basta con il tapparci la bocca e il dirci “Tacete!” solo in virtù di un apatico e obsoleto principio di autorità, per il quale siamo tutti tenuti a sottostare acriticamente a disposizioni contro la morale e il buon senso comuni! Basta a credere che la scuola sa fatta dai dirigenti e dai poteri forti. La scuola siamo noi, studenti, alunni, il motore della conoscenza senza il quale null’altro ha natura di esistere:  noi non costruiremo il nostro futuro sulle macerie del vostro nulla! Si tratta di un modello che è già in crisi, anzi in pieno fallimento; quel modello che vede la scuola come un’alternativa S.p.A., come un insieme disorganico di azioni e compravendite. Una ‘scuola-azienda’ che ci fa merce di scambio. Una scuola che è prodotto da vendere, facile da usare, facile da consumare: … Pensate voi che leggete: In una classe l’insegnante si aspetta di essere ascoltato. Lo studente pure. (E. Abbè)

Mattia Schino

venerdì 2 marzo 2012

Ernesto Sabato, scriba dell’anima: Recensione a "Prima della fine", autobiografia dello scrittore argentino

Si può scrivere un libro per tanti buoni motivi, ma fra questi il migliore è certamente lo scrivere per gli altri. Soprattutto se a farlo è un uomo attempato, allo stremo delle forze, poco prima della fine.
E’ a tutti noi che il grande Ernesto Sabato dedica “Prima della Fine”, specie per i giovani “orfani di cielo e di Terra”, naufraghi in un mondo che ha sostituito alla ricerca della bellezza l’avidità e l’ossessione per la tecnica.  A pochi mesi dalla morte, le edizioni “Sur”, nuova linea editoriale di Minimum Fax per la letteratura latinoamericana, ripropongono l’ultimo libro dello scrittore argentino, pubblicato per la prima volta nel 1998. Ai più Sabato sarà noto per la nomina a presidente della Commisione nazionale argentina sui desaparecidos che, dopo la caduta della giunta militare, indagò sulle atrocità commesse dal regime peronista. Questo libro restituì all’Europa l’esatta dimensione di uno dei più grandi intellettuali del Novecento. “Prima della Fine” è molto più di un testamento spirituale: è una lettera aperta, una richiesta d’aiuto rivolta a chi ancora sogna di “trasformare la vita in uno spazio di umanità”.
Il mondo corre rapidamente verso l’oblio: è questa la lucida dichiarazione i Sabato, proferita senza mezzi termini, senza il timore di essere accusato di bieco pessimismo. Il nostro sistema economico, come ha scritto, ha la presunzione di presentarsi come l’unica alternativa possibile. Così ha sempre fatto il ne-liberismo che, dopo il crollo del Muro e la fine del Comunismo, si è proclamato la panacea di tutti i mali, “il migliore del mondi possibili”. Ma “a quanto pare la dignità della vita umana non era contemplata nei piani della globalizzazione”. Perché un sistema che condanna l’intero continente africano alla fame e alla presenza cronica della guerra; che si fa beffa di ogni garanzia sindacale; che concentra la gran parte della ricchezza  del pianeta nelle mani di pochi e invisibili tycoon della finanza non è un sistema che rispetta la vita umana. E di fronte a questo universo atroce cosa può uno scrittore? Lo scrittore dà voce agli emarginati, agli ultimi della Terra, restituendogli una speranza di salvezza; perché gli scrittori più grandi, come ha scritto Camus, “non possono schierarsi a fianco di chi fa la storia, ma al servizio di quelli che la subiscono”. E’ questa la contraddizione profonda che attraversa il libro: indignato per la povertà e l’oppressione generati dal nostro sistema economico, Sabato non smarrisce mai la forza di resistere.  La tenacia con cui quest’uomo, all’epoca più che novantenne, si aggrappa alla vita non può che meravigliarci. Nella desolazione egli  prosegue ostinato cercando quei brandelli di umanità che rendono la vita degna di essere vissuta: sono la forza con cui una madre s’aggrappa a sua figlia; il grido di d’amore di una donna fuggita dal manicomio per trovare il suo amante, o l’eroismo di quell’uomo che “durante l’incendio di una bidonville entrò tre volte in una baracca di lamiera dove erano rimasti tre bambini, finchè morì nell’ultimo tentativo”. In fondo, le qualità dell’uomo concreto, soffocate nei templi della finanza, si conservano intatte nelle periferie delle metropoli, dove regnano povertà e miseria.
L’unica e possibile redenzione non può dunque prescindere dalla dimensione dell’impegno, dal farsi carico della sofferenza dell’altro. In questo la solidarietà umana è metafisica: ponendoci al di sopra della fatalità della storia diamo un senso alla storia.  L’invito all’impegno e la riflessione sulle rovine della civiltà occidentale occupa tutta la seconda metà del libro e non risparmia nulla: dalle catastrofi ambientali alla schiavitù della droga, dai limiti della bioetica fino alla crisi economica mondiale. Ma lo spirito più autentico del libro sta nei ricordi della vita passata. Sabato fu comunista, poi rinnegato quando cominciò a diffondersi l’eco dei crimini di Stalin; studiò la fisica, che gli stava garantendo prosperità e ricchezza, ma l’abbandonò per seguire l’unica fede mai tradita: quella per l’arte e la letteratura. Profondamente influenzato dai surrealisti, Sabato racconta in romanzi altissimi, quali “Il tunnel” o “Sopra eroi e tombe”, le verità oscure e inconfessabili dell’inconscio. Al centro della sua arte c’è “quel territorio straziato in cui viviamo, amiamo e soffriamo ” che è l’anima, sospesa tra sentimenti nobili e torbide passioni irrazionali.
Lo ricorderemo così Ernesto Sabato: un uomo mai incline a compromessi, nei libri e nella vita,  sempre coraggioso, e autentico.
Alberto  Donadeo