domenica 15 gennaio 2012

The Artist: tornare al bianco e nero per una Decrescita Felice.

Anno: 2011, Colore: bianco e nero, Audio: muto, ecco, quando sfogliando recensioni di film, ci si ritrova queste caratteristiche, la prima reazione è: avranno sbagliato a scrivere. Ma la curiosità ti prende e continui a leggere, con gli occhi che man mano si sbarrano, un sorriso che nasce sulle labbra, e con la voglia di andare a cinema e vedere.  Chi scommette sul bianco e nero nell’era del 3D è Michel Hazanavicius, giovane regista e sceneggiatore francese, che sconvolge Cannes con il suo The Artist: ambientato negli anni 20, è la storia di un divo del cinema muto declassato da Hollywood all’avvento del sonoro,  e “risorto grazie all’amore di una donna”.  Una follia? Forse.  Ma la sensazione, a film finito, è quella di pienezza. Mi alzo dalla poltrona e sento il cuore , gli occhi, la mente, appagati. Sono soddisfatta, tiro un sospiro di serenità, e trattengo la voglia di ballare il tip tap.  Una vecchia storiella, un lieto fine prevedibile, niente colore né audio, figuriamoci effetti speciali, eppure dalla critica ai cinefili al pubblico, The Artist è sembrato geniale, e non perché con un pastiche di tecniche surclassate risveglia la nostalgia dei “vecchi tempi”, rievocati come un anziano che racconta la sua giovinezza ad un nipote. Al contrario di come molti hanno affermato, The Artist non è “l’anti Avatar”, o un omaggio al cinema con puro fine encomiastico. The Artist è la riscoperta del potere comunicativo delle immagini, riscoperta che può avvenire, e che in the Artist dunque avviene, non guardando avanti, ma godendosi la gioia di fare un passo indietro. Tornare al bianco e nero non è un’involuzione, e The Artist ne è la prova vivente. Dato il superfluo, tornare al necessario, non significa in assoluto toglierci una parte di felicità. La storia stessa del film, al di là delle tecniche cinematografiche, ci parla di questa che potrebbe essere una filosofia di vita. L’affascinante Georges Valentine, divo del film muto, è lui quello da definire “L’anti Avatar” del passato, l’uomo fuori dal mondo, di cui non accetta il famigerato “progresso”; la giovane e splendida Peppy Miller invece, portatrice del messaggio del film stesso, vive e accetta il progresso (il film sonoro), ma con esso riesce a trovare un compromesso; è disposta a fare un passo indietro, quando progresso, e crescita, non coincidono più con la felicità. Usando il linguaggio di Serge Latouche, filosofo francese contemporaneo, possiamo dire che The Artist rappresenta quella che in economia è chiamata “decrescita felice”:  abbandonare il modello capitalistico del “crescere per crescere”, rompere il paradigma occidentale del “sempre di più”, ormai diventato una macchina automatica che ha disarcionato il conducente: l’uomo. Tornare alla necessità fisiologiche, dove il crescere è mirato a soddisfare i bisogni, tornare ad una razionalità dei consumi senza l’isteria collettiva del possesso del bene materiale. La chiave di svolta per la crisi del XXI secolo potrebbe essere imparare a limitare il superfluo, e riscoprire la gioia del necessario. La felicità potrebbe essere un sogno, ma sognato in bianco e nero.
Lucia de Marco