giovedì 11 luglio 2013

Privati nei Beni Culturali? Si, ma non per profitto.

La notte dei beni culturali italiani è proprio quella in cui tutte la vacche sono nere.  Il problema rimbalza fra un governo e l’altro e  seguendo la linea Bondi-Galan-Ornaghi siamo giunti a toccare  il fondo del baratro.  Sotto questo inqualificabile triumvirato i tagli alla cultura hanno raggiunto i massimi storici. Il nuovo ministro Bray cerca di barcamenarsi alla men peggio: fra le mani ha solo i danni accumulatisi in anni di degrado, indifferenza, abbandono.  
Nello squallido panorama politico italiano di quando in quando riemerge il problema Pompei,  qualche slogan, qualche luogo comune, appelli di intellettuali sdegnati : il contesto perfetto per strumentalizzare un’emergenza nazionale e scrivere fiumi di retorica alla maniera del piccolo politico italiano alla ricerca di consensi.
Abbiamo gridato allo scandalo per la nota e ironica frase del ministro Tremonti, <<Fatevi un panino con la Divina Commedia>>, a cui giustamente abbiamo risposto con un altro slogan, <<Con la cultura si mangia>>.  Ed è proprio dell’interpretazione di questo slogan che mi preme dire, poiché tocca un punto cruciale per il destino del nostro patrimonio artistico, ovvero l’intervento dei privati nei beni comuni.
Nelle condizioni attuali, è impossibile non ammettere che le offerte milionarie dei privati non possano che dare ossigeno ai nostri musei e siti archeologici agonizzanti. Ma dove sta il limite? Cosa intendiamo per mangiare con la cultura?  Qual è il confine fra la nobile considerazione del patrimonio artistico come risorsa economica della collettività e la mercificazione dell’arte stessa?
Il confine è molto labile a quanto pare, dati gli ultimi discutibili avvenimenti  nella stessa culla della cultura italiana: Firenze.  <<Gli Uffizi sono una macchina da soldi, se li facciamo gestire nel modo giusto>>, sono parole del sindaco Matteo Renzi proprio in queste ore ancora al centro delle polemiche riguardo la festa privata della Ferrari sul Ponte Vecchio, sostanzialmente sequestrato al libero passaggio dei cittadini. Ed è ancora a Firenze che lo scorso gennaio la Sala dei Cinquecento è divenuta la location di una sfilata di moda di Ermanno Scevrino, gli Uffizi invece di una sfilata di Stefano Ricci in stile “neocoloniale” con tanto di tribù di Masai in apertura (importati come bestie da circo) che sventolavano lance e scudi fra i quadri rinascimentali. Gli Uffizi ancora, sono stati affittati per una intera giornata  in onore di una visita privata di Madonna, sottraendo il museo alla collettività. Piazza Pitti e Piazza Ognissanti chiuse ai fiorentini poiché “sala ricevimenti” di un matrimonio di un magnate indiano. Ancora sfilate di  moda e questa volta la location è la chiesa sconsacrata (ma tutt’ora appartenente alla Curia) di Santo Stefano al Ponte, sempre a Firenze, dove modelle seminude hanno posato sull’altare, luogo del sacrificio eucaristico per secoli e dove giaceva una nota pala del Beato Angelico.  Spostandoci altrove possiamo vedere il nostro Colosseo diventare un brand targato Della Valle, serate mondane private nella Galleria Borghese, Piazza del Pleibiscito a Napoli usata come location del concerto di Bruce Springsteen, accessibile ovviamente solo a pagamento.  Sono solo alcuni esempi di come il concetto di cultura intesa come “risorsa economica”, scada facilmente in una pure e semplice mercificazione. Pieghiamo anche il nostro patrimonio artistico alla logica del profitto, nascondendo il tutto sotto presunti mecenatismi.
Tuttavia è proprio il mecenatismo, nella sua forma originaria che può essere l’ago della bilancia, la partecipazione di un soggetto privato del tutto disinteressato che “rasenta il dono e trova nel prestigio del mecenate stesso la sua ragione d’esistenza”. Un esempio?
Il magnate tedesco Wurth finanzia il restauro della Cappella Palatina di Palermo. Cosa vuole in cambio? Nulla, solo la realizzazione di una mostra della sua splendida collezione privata di opere di Christo e Max Ernst. L’industriale Della Valle invece finanzia in restauro del Colosseo in cambio di diritti di immagine per 15 anni, cioè una sorta di contratto che ha nella pubblicità la sua unica ragione d’esistenza. I soldi di Wurth sono per l’arte, i soldi di Della Valle torneranno a lui stesso tramite la gestione privata del più importante monumento italiano. L’aurora dei beni culturali italiani la vedremo dunque nascere solo quando si imparerà a scegliere.

Lucia de Marco 

Fonti:
-"Beni culturali sempre più privati" di Tommaso Montanari, Il Fatto Quotidiano, 6 Luglio 2013
-"Patente a punti" di Marcello Faletra, Artribune, 29 Giugno 2013
-"Beni culturali anche il Ministero è moroso: bollette non pagate per 40 milioni", Repubblica, 6 Luglio 2013
-"Lo strillone: Bondi, Galan e Ornaghi avrebbero affossato anche la Firenze del Riascimento", di Francesco Sala, Artribune, 6 Maggio 2013