“ Sic transit gloria mundi” Così chiosava Berlusconi poche ore dopo l’assassinio di Gheddafi per mano dei ribelli libici. E’ più o meno la stessa cosa che abbiamo pensato tutti di lui, quando saliva al Quirinale per rassegnare le dimissioni , per poi scappare a bordo della sua auto blu braccato dalla folla in giubilo. Il re è nudo. La farsa del giullare nei palazzi di potere è finita e nonostante lui continui a giurare di voler raddoppiare il suo impegno e di non volersi affatto tirare indietro l’immagine dell’uomo politico resta stavolta irrimediabilmente compromessa.
C’è un’attrazione fatale per il leader finalmente uomo, il capo sdivinizzato. Davanti al Quirinale, come a Piazzale Loreto, agli italiani sembra non manchi mai la passione irresistibile di voler infierire sull’uomo a cui abbiamo dato tutto, e che adesso ripudiamo profondamente indignati. Costruiamo monumenti, issiamo bandiere e poi li abbattiamo. Quanto è breve il tempo che impieghiamo per distruggere le verità dei nostri profeti. Ma il Capo non può scappare al suo destino inevitabile: osannato e poi tradito. Cosa ci lega così profondamente al leader, quali istinti insopprimibili ci fanno inseguire l’uomo della Provvidenza?
Eppure tutto il mondo sta vivendo un progressivo indebolimento delle leadership forti, soprattutto la politica. Gli indignados non hanno leader, non ci sono profeti perché l’organizzazione è paritaria fin dalle sue fondamenta: sui social network, dove il movimento si sostanzia oltre che nelle piazze, non esistono titoli: “tu vali quanto me e la mia parola vale quanto la tua”.
A Zuccotti Park, assembramento degli “Occupy Wall Street” Roberto Saviano ha urlato il suo intervento senza microfono perché tutte le amplificazioni sono bandite. Non si riesce davvero ad immaginare qualcosa di più sovversivo di tutto questo: un movimento veramente libero perché –l’istinto ci dice così– una società libera sussiste solo laddove non ci sia nessuno più importante dell’altro. I partiti soffrono moltissimo questa mutazione e cercano di stare al passo dei nuovi linguaggi partecipando ai dibattiti sulle comunità virtuali: ciononostante noi continuiamo ad identificare il programma con il segretario di partito, il movimento con la figura cui fa capo.
Non il riformismo o la sinistra radicale ma Bersani e Vendola; non il centro e la destra neo-liberista ma Casini e Alfano. Se c’è qualcosa che i movimenti devono insegnarci è il primato delle idee su quello delle ragioni individuali. Può essere questo un nuovo modo di fare politica che non debba necessariamente tornare al voto ideologico, ma che faccia del confronto tra i programmi e non tra gli uomini il terreno del dibattito. Non guardiamo nostalgici all’assemblearismo anni ’70 ma crediamo che la verità possa emergere semplicemente dal basso se non si delega sempre ai signori dei palazzi di potere il diritto di decidere.
Immaginare scenari di questo tipo è forse ancora un po’ precoce. I nostri bisogni più profondi ci spingono a fidarci dell’Uno, la persona carnale, magari filtrata dallo schermo del televisore, e quindi fittizia, ma l’Uno individuato. Beato chi non ha bisogno di eroi, diceva Bertolt Brecht. Purtroppo noi continuiamo a non poterne fare a meno.
Alberto Donadeo
6 commenti:
Bravo bell'articolo a parte la sottile analogia con piazzale loreto un po' esagerata... mi è piaciuto molto il passaggio "tutte le amplificazioni sono bandite" dove si parla di Saviano che secondo me si ricollega anche alle ultime due righe del pezzo. Un eroe a suo modo.
Francesco
Una società libera sussiste solo laddove non ci sia più nessuno.
Come non essere d'accordo nel desiderio di democrazia vera? Ma il problema è dibattuto da tempo e non ha mai trovato soluzione: come la democrazia possa fare a meno di un leader. L'unica soluzione è l'ideale anarchico, ma questo presuppone una società, una maturità, una coscienza di appartenenza al genere umano che sono ben lontani dai particolarismi che ci animano, particolarismi che partono dalla famiglia, alla regione, allo stato, alla razza.
Riconoscere che l'utilità propria coincide con quella degli altri non è facile, specialmente non è facile agire conseguentemente.
Per cui ci rimane il migliore dei mali, la democrazia rappresentativa che abbiamo. Con la speranza che la selezione della rappresentanza sia effettiva e su valori positivi.
In fondo che cosa abbiamo fatto in questo macello? Ci siamo affidati ad un uomo, Napolitano, gli abbiamo dato la nostra fiducia e lui ha agito. Ma lo ha fatto come persone, come leader anche se rappresentante nostro. Io non credo che il problema sia superabile; possiamo solo sperare in compromessi positivi che ci permettano un maggiore controllo ed un più stretto collegamento con la classe politica che dobbiamo costringere a fare gli interessi di tutti.
Il fatto che noi italiani siamo "una testa, un'opinione" rende difficile la rappresentanza. Per cui finiamo per armarci di speranza e cercare di scegliere il leader come un primus inter pares, non un unto dal Signore.
L'unico rimedio, se così si può chiamare, che vedo per ora è il tentativo di diminuire la distanza fra rappresentanti e rappresentati. E scegliere qualcuno che non si senta superiore.
Finora ci siamo messi nelle mani altrui fidandoci ciecamente, credendo al suo carisma (che per me non lo era, ma per la maggioranza sì). E perché lo era? Sulla base del ragionamento che "se è ricco lui troverà il modo di far diventare ricco anche me". Alla barba di ogni considerazione sociale (o cristiana).
E così ora riponiamo le nostre speranze sui tecnocrati, apparentemente l'unica via di salvezza (almeno sul piano economico).
Come far accettare a tutti l'idea che se abbiamo tanti debiti è perché (corruzione compresa) abbiamo vissuto al disopra delle possibilità del paese e che ora dobbiamo pagare queBerlusconi, l'esaltazione dell'egoismo negativo.sti debiti in proporzione ai benefici che abbiamo avuto?
Spero che voi giovani troviate le vie per una democrazia vera, effettiva. La mia generazione ha fallito visto che è riuscita a produrre
A Tito Santoni. Condivido pienamente il tuo senso di frustrazione in merito agli ultimi fatti di politica interna e riconosco, come hai detto, che di fronte al cortocircuito dei mercati sia stato un uomo, cioè il Presidente della Repubblica, a condurre il Paese ad un compromesso. Tuttavia resto convinto del fatto che la crisi dell'area euro trovi le sue radici nella crisi politica delle nostre democrazie, e quindi anche nell'iperpersonalizzazione di cui hanno sofferto. Il governo Berlusconi non ha forse impiegato bellamente i primi due anni del proprio mandato inseguendo una improbabile soluzione alle beghe giudiziarie del premier? Credo, come Simone Weil che uno dei parametri per giudicare il grado di libertà di un'organizzazione sociale sia la capacità di tutti i cittadini di poter incidere sulle scelte imposte alla collettività dai governanti. Noi oggi decidiamo veramente poco. E l'attuale legge elettorale ne rappresenta la prova più evidente.
Sicuramente nella politica attuale è il personaggio che prevale sull'idea. In parte ciò è dovuto alla fine delle ideologie. Che di per sè è una cosa positiva. Il problema è che al loro posto non sono subentrate le idee, ma il "capo carismatico", o per meglio dire, il suo fascino che si impone sulla massa al di là della sostanza. Non si vota più per il partito, ma ci si schiera dalla parte dell'uomo che lo incarna. Questo ha due conseguenze negative: la prima, è che il personaggio tanto più è tale, tanto più maschera l'inconsistenza della sua azione politica; la seconda è che caduto lui, tutto l'apparanto va in crisi, siccome ruotava attorno all'uomo e a nient'altro. Ulteriore conseguenza, il ristagno e l'impossibilità di progredire: l'uomo carismatico si circonda non di persone valide, di altri uomini portatori di idee, ma di cortigiani, che concorrono alla scenografia e fanno null'altro che il megafono del "capo". Finchè le cose non si mettono male, e cambiano registro, ma la musica resta la stessa.
Ad Alessandro: hai ragione, i leader si contornano di persone di poco valore, e purtroppo è sempre stato così. Circondarci di uomini meschini, può a volte farci sentire onnipotenti. Aggiungerei un'altra conseguenza pericolosissima: per quanto più tempo il singolo riesce a mantenere il potere, tanto più egli potrà approfittare della propria posizione privilegiata e far valere i propri interessi. Reputo condivisibili le proposte di chi voglia porre un limite al numero di anni da spendere in politica.
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