Perché una “festa della donna”? C’è forse una
“festa dell’uomo”? E’ in fondo, come San Valentino, solo un’occasione per
regalare un po’ di fiori e cioccolatini, una cenetta fuori e poi tutti felici
(o infelici) come prima?
No! E’ tutto – e dico tutto – sbagliato.
Partiamo da una premessa fondamentale: se
vogliamo dare il giusto nome alle cose, stiamo parlando della Giornata
Internazionale della Donna, niente feste e pasticcini.
Ma certo, potrebbe esclamare qualcuno, l’8 marzo
si ricorda la morte di centinaia di operaie nel rogo della fabbrica di camicie
Cotton avvenuto nel 1908 a New York. Si, un po’ di popcorn, una bibita gasata e
sarebbe veramente un bel film. Peccato che non sia mai esistita una fabbrica
Cotton, a New York, nel 1908. Per fortuna che l’8 Marzo 1908, non ci fu nessun
rogo. E allora cos’è questo 8 Marzo? 08-03.…mi sa che questa volta i Maya non
c’entrano, magari la kaballah ebraica?! Dai, non scherziamo.
Siamo in verità nel 1917, a San Pietroburgo e –
avviso i deboli di cuore – c’entrano un pochino i comunisti. Le donne della
capitale russa guidarono una grande manifestazione che rivendicava la fine
della prima guerra mondiale: la fiacca reazione dei cosacchi inviati a
reprimere la protesta incoraggiò successive manifestazioni che portarono al
crollo dello zarismo, ormai completamente screditato e privo anche
dell’appoggio delle forze armate.
E così l’8 marzo 1917 è rimasto nella storia a
indicare l’inizio della «Rivoluzione russa di febbraio» (secondo il calendario
giuliano allora in vigore in Russia, eravamo al 23 Febbraio). Per questo
motivo, e in modo da fissare un giorno comune a tutti i Paesi, il 14 giugno
1921 la seconda Conferenza Internazionale delle Donne Comuniste, tenuta a Mosca
una settimana prima dell’apertura del III congresso dell’Internazionale
Comunista, fissò all’8 marzo la «Giornata internazionale dell’operaia».
Non è infatti un caso che la prima giornata
internazionale della donna in Italia venne organizzata dal Partito Comunista
Italiano, nel 1922. Come non è un caso che pochi anni più tardi, sempre in
Italia, venne pubblicato sul periodico ‘Compagna’ una lettera di quel cattivone
di Lenin che ricordava l’8 marzo come Giornata internazionale della donna, la
quale aveva avuto una parte attiva nelle lotte sociali e nel rovesciamento
dello zarismo. Aspetta un attimo, stai correndo troppo! Vorresti dire che ogni
anno festeggiamo la “Giornata internazionale dell’operaia” indetta
dall’Internazionale Comunista? Vuoi dire che sinistra, centro, destra, su e giù
ogni anno si uniscono nelle celebrazioni di una festa comunista? No. Sarebbe
stupido e pretenzioso attribuire un tema delicato quale il riconoscimento del
ruolo sociale della donna ad un singolo schieramento politico, rendendolo un
possesso esclusivo. Probabilmente per questo, insieme alle tragiche conseguenze
della seconda guerra mondiale e della divisione del globo, si è “preferito”
sorvolare sull’origine storica della celebrazione, per renderla la più
universale e condivisibile possibile.
Non è di certo per scrivere un apologo del
comunismo che ho scritto quest’articolo. Non è nemmeno per denunciare
manipolazioni storiche, non è il mio campo. Penso però che un elemento sia
assolutamente necessario ricordare riguardo l’origine storica della “festa
della donna” (spero che ormai possiamo attribuire il giusto significato a
questa dicitura che – diciamolo – è nettamente più comoda).
La festa della donna non è nata in un salotto di
intellettuali. Non è nata dai romanzi rosa, non è nata tra le righe del dolce
stil novo. E’ nata in piazza, durante la guerra, tra le truppe schierate pronte
a caricare. E’ nata nelle fabbriche, dove era una quotidiana lotta, non solo
per iniziare il lavoro, ma anche per finirlo in vita. Quindi la festa della
donna non è il trionfo del buonismo e del politically correct. Non è una
“concessione del sistema maschilista al sesso debole”. E’ stata una conquista,
una battaglia, con i suoi morti, i suoi feriti, la sofferenza e la paura. Tra
l’altro, non una conquista unicamente dei propri diritti, della propria affermazione
sociale, ma una battaglia combattuta – come nell’episodio dell’8 Marzo 1917 -
per la vita e la libertà di tutti, uomini e donne, senza distinzione. Quindi,
invece di regalare alle donne fiori, cioccolatini, mimose, invece di cercare
disperatamente di guadagnarsi un “grazie”, sarebbe forse meglio che fossimo noi
uomini a dire, sinceramente: “Grazie!”
Federico Labriola