giovedì 17 novembre 2011

Il fallimento della Democrazia: cosa sarà l'Italia del "Dopo Silvio".

Stiamo vivendo giorni che cambiano la storia di un paese: chi più chi meno ne siamo tutti consapevoli. Si chiude il sipario della politica d’avanspettacolo del governo Berlusconi, lasciandosi dietro quello strascico d’amarezza, e umiliazione che in questi anni hanno piegato il nostro paese. Come sarà ora, l’Italia del “Dopo Silvio”? Lo scenario che ci si presenta è  desolante.  Le dimissioni di Berlusconi infatti non sono nate da una riscossa dell’opposizione, da una rinnovata fiducia dei cittadini nella politica, da un processo dal basso che fosse riuscito  ad imporre all’attenzione delle classi dirigenti la manifesta esigenza di cambiamento del popolo. Le dimissioni di Berlusconi sono il risultato della legge del mercato, che prima di noi cittadini ha saputo dirgli “esci di scena”. E nel baratto spread \ democrazia  siamo tutti perdenti: stiamo assistendo al fallimento della democrazia e della politica in Italia.  Il cittadino che si affanna inerme di fronte alle immagini televisive  e leggendo le righe dei quotidiani  senza alcuna possibilità di intervenire nelle sorti del suo paese, ne è l’esempio e il simbolo più evidente. E ancor più lo è l’incapacità delle parti politiche di tutti gli schieramenti di saper guidare il paese in una situazione d’emergenza.  L’urgenza degli eventi che in tempi lampo ci hanno imposto delle scelte forti, ha lasciato il cittadino disorientato di fronte al mondo dell’economia ai più sconosciuto, e di fronte alla nascita di un nuovo governo, il cui leader anch’esso è ai più sconosciuto.  I tempi del mercato non ci  hanno concesso di dire la nostra: organizzare nuove elezioni avrebbe violato le scadenze serrate ai cui l’economia italiana  è necessariamente sottoposta. Unica possibilità: un governo tecnico. In tempi record il presidente della repubblica ha reso Monti senatore a vita, poi lo ha incaricato di formare il nuovo esecutivo. Chi sono dunque gli uomini che ci governano? Sono diciassette , quattordici uomini e tre donne, cattolici, rettori di università, economisti, banchieri; il loro leader Mario Monti, presidente dell’università Bocconi, commissario per l’Unione Europea, uomo distinto, autorevole a cui il Parlamento il 16 Novembre concede la fiducia. Certamente l’impatto estetico, propriamente visivo, è forte: il grigio, la sobrietà e la dignità del nuovo governo Monti non può che farmi sentire sollevata al ricordo della “pacchianeria sgargiante”* del governo Berlusconi, al ricordo delle facce della Gelmini, della Carfagna, della voce di La Russa e di Tremonti; ma mettendo da parte per un secondo la generale ammirazione destata dall’alto livello qualitativo del nuovo collegio dei ministri, mi è impossibile non rimarcare ancora una volta il mio rammarico per la totale assenza delle parti politiche in questo governo, governo che è il risultato dell’antipolitica,  dilagante nel nostro paese.  Il nuovo esecutivo ha ottenuto la fiducia in parlamento, ma ha la fiducia diretta dei cittadini? In questa momentanea sospensione della democrazia non ci resta che sperare, se pur circondati da tutti quei leciti dubbi che oggi si muovono nelle varie frange dell’opinione pubblica.

* Michele Serra in Repubblica del 17\11\2011

Lucia de Marco

lunedì 7 novembre 2011

Cronache di una tragedia annunciata: Quando l’educazione ambientale può salvare la vita.

Mentre scrivo, la rete e i giornali continuano nell’infinita riproduzione delle immagini di Genova. Dalla disperazione delle famiglie dei caduti, alle polemiche contro il sindaco Vincenzi, una sorta di paralisi del pensiero non fa che identificarmi in quegli attimi, in quella giornata di morte. Certo, i mezzi di comunicazione ci hanno ormai abituato a scene apocalittiche: tsunami, alluvioni, terremoti, uragani. Ma queste immagini spesso rimangono profondamente virtuali così lontane dalla nostra realtà quotidiana, che è difficile dirsi “potevo essere io”. Le strade di Genova invece, non sono poi così diverse da quelle della nostra città e in automatico scatta il confronto: loro come noi. Sono queste le situazioni in cui nascono sentimenti di profonda solidarietà, dalla Thailandia a Genova, spogliati da tutte le caratteristiche particolari, rimaniamo tutti umani sospesi fra terra e cielo.
Ed è da queste riflessioni che nascono le domande che col senno di poi ci si pone: come si poteva prevenire? Qualcuno ha la colpa? Un paese civilizzato come l’Italia crolla dopo un giorno di pioggia, è possibile? Credo che il punto di partenza per la risposta a queste domande sia una, ed una soltanto: l’uomo che si crede padrone del mondo, si è dimenticato della natura. A sostegno della mia tesi cito un articolo illuminante pubblicato il 6 Novembre 2011 su Repubblica da Michele Serra: Alterniamo la rimozione totale, da urbanizzati che credono di avere addomesticato per sempre il mondo, di averlo imprigionato in un palmare o in un cruscotto d’auto; a una visione idealizzata, arcadica, sdolcinata della natura […] Cavalchiamo una tigre (vulcani, terremoti, maremoti, alluvioni) come se fosse un gattino. Costruiamo case sul ciglio di fiumare infide e piangiamo quando l’acqua se le ingoia. Lasciamo morire gli alberi senza rimboschire, e rimaniamo sbalorditi quando l’acqua ci piomba addosso precipitando lungo pendici glabre. Siamo come i turisti della domenica che salgono i monti in mocassini, scivolano e muoiono: ma lo siamo tutto l’anno, ogni giorno.”  Ed è proprio a questo proposito che parlo di un’educazione ambientale: un cambiamento culturale che ci porti nuovamente ad un’armonia con la natura, a riconoscerne la forza e la potenza e dunque a trovare con essa un compromesso. I cambiamenti climatici sono in atto e le tragedie che al giorno d’oggi si verificano sono dovute in gran parte all’incuria e all’indifferenza dell’uomo urbanizzato, che dimentica che sotto l’asfalto delle sue autostrade c’è terreno, che sotto le ali del suo aereo c’è aria e vento, che sotto le sue navi c’è  mare. Un’educazione ambientale diffusa avrebbe evitato di costruire su suoli di dissesto geologico, avrebbe invogliato i cittadini ad ascoltare il messaggio di emergenza annunciata, avrebbe già creato un piano di emergenza e di sicurezza per le zone a rischio. L’Italia deve sempre pagare un costo di vite umane per accorgersi della scarsa applicazione e diffusione delle proprie leggi? Come all’Aquila, anche questa volta emerge il barbaro consumo di un territorio fragile, il disboscamento  di quegli alberi che avrebbero potuto rallentare la furia dell’acqua, l’incuria del territorio, l’edilizia abusiva. Gli eventi di questo giorni mettono a nudo nuovamente le responsabilità di tutti: del governo, della protezione civile, e di ogni singolo cittadino: impariamo dal Giappone e dagli Stati Uniti, rimbocchiamoci le maniche con la speranza di una nuova e condivisa consapevolezza ecologica.

Lucia de Marco