E così questi Indignati, questi Indignati e la loro manifestazione che se pur indirettamente ha messo a ferro e fuoco la capitale. La parola Indignazione è improvvisamente comparsa sulle bocche di tutti gli italiani, digitando su Google, il primo riferimento alla parola “indignati” è: Roma 15 Ottobre. Fanno comparsa nel nostro paese dal nulla e si impongono contro la loro originaria volontà, all’attenzione pubblica con il gesto forte e spaventoso dello scorso sabato. Ma chi sono questi Indignati di cui oggi tutti parlano? Capire chi sono e cosa vogliono è essenziale, ed era il passaggio preliminare che doveva accompagnare la meravigliosa manifestazione che doveva essere il 15 Ottobre.
Gli Indignati sono Democrazia reale, ora.
Gli Indignati sono Beni comuni di tutti e per tutti
Gli Indignati sono L’uomo prima, poi il capitale.
Gli Indignati sono diritto al futuro, all’istruzione, alla cultura, al lavoro.
Gli indignati sono Resistenza Pacifica.
Eugenio Scalfari nell’editoriale di Repubblica del 16 Ottobre dice “ hanno obiettivi concreti ma così generali da diventare generici […] c’è una dose massiccia di utopia in questo modo di pensare”. Certo il direttore ha ragione, ma tutta l’opinione pubblica che di destra che di sinistra, si è limitata a constatare i fatti per come si sono presentati: è nato un movimento, si chiamano Indignati, hanno manifestato a Roma a nome delle nuove generazioni a cui è stato “rubato il futuro”, sottovalutando enormemente ciò che è a monte dei fatti. A monte dei fatti c’è una Rivoluzione della mente, un cambiamento straordinario che ha sostituito l’indifferenza con l’indignazione. La rivoluzione della mente è uno snodo fondamentale, è il presupposto di qualsiasi tentativo di riforma concreta della realtà. Stephan Hessel, autore del pamphlet: “Indignatevi!” da cui prende origine il movimento, dice a proposito dei giovani: “ Voi non avete le motivazioni evidenti che avevamo noi per decidere di agire. Per noi, resistere significava rifiutare l’occupazione tedesca. Era relativamente semplice. Oggi le ragioni per indignarsi possono sembrare meno nette […] Chi comanda? Chi decide? Non è facile distinguere fra le varie correnti che ci governano”. Le parole di Stephan Hessel sono quanto mai efficaci per giustificare o spiegare l’indifferenza giovanile o delle masse popolari in generale. I meccanismi dell’economia e della politica appaiono come grandi calamità naturali, una grande ruota della fortuna che oggi premia, domani punisce. A ciò che è casuale logicamente non ha senso opporsi, e quindi il senso di impotenza e di rassegnazione difronte ai fatti della storia presente. “Ai giovani io dico, cercate, e troverete un motivo per indignarvi!”. E i giovani hanno cercato e hanno trovato. L’Indignazione è il primo passo per il cambiamento dei sistema, dunque è quanto mai positiva quella spinta riformistica (se pur a tratti utopica) degli Indignati. Non possiamo lasciare che il nostro paese per i fatti del 15 Ottobre si autoescluda da questo movimento di riforme globali. E’ il seguito che, per come parlano i fatti di cronaca, deve destare la nostra attenzione e deve schierarci nettamente. I popoli ipnotizzati dalla vita sociale, talvolta si risvegliano, e il loro tumulto li pone difronte alla strada della violenza, spesso la più facile, la strada dai risultati immediati. Il popolo che parla e che non viene ascoltato sceglie consapevole la strada della violenza, e questa è una costante comportamentale, una legge storica immutabile. L’impossibilità di produrre effetti attraverso la parola e la legalità, porta l’uomo in rivolta alla via opposta, alla via della distruzione come unica valvola di sfogo di frustrazioni represse. Distruggere per imporsi all’attenzione, per smuovere quell’assenza di prospettive. Non limitiamoci al 15 Ottobre italiano ma apriamo gli orizzonti alla primavera araba e al suo epilogo nella macabra uccisione di Gheddafi, alla devastazione di Londra dello scorso Luglio, sino alle violenze di Atene. E’ vero i popoli sono in tumulto, ma i risvolti delle più che legittime proteste fanno paura. E’ necessario che” la nuova rabbia accresciuta fra malessere sociale e vuoto politico” * trovi un principio catalizzatore, che nell’era delle democrazie forti del XXI secolo, non può ancora identificarsi con la violenza.
Lucia de Marco
* Benedetta Tobagi, in R2 di Repubblica, 20 Ottobre 2011.
12 commenti:
Date un'occhiata a questo articolo. Si tratta di un'intervista a Nichi Vendola a proposito dei Black Bloc.
http://www.repubblica.it/politica/2011/10/22/news/intervista_vendola-23652482/?ref=HREC1-3
Andrea Longo
Sono consapevole della portata del fenomeno a livello mondiale, del meccanismo per cui un cambiamento a livello concreto presuppone e rimanda ad una metamorfosi della "Weltanschauung" di un certo numero di individui, la quale poi magari viene trasmessa parzialmente integra alla coscienza di un popolo o di una generazione intera (quella che tu chiami "Rivoluzione della mente"). Il punto è che combattere contro un sistema significa combattere contro un gigantesco fantasma: non si riesce a comprendere mai esattamente sino a che punto rappresenti un nemico esterno, e sino a che punto sia invece una nostra creazione... Spesso mi viene in mente che chiunque compri una confezione di spaghetti al supermercato non si rende conto di stare ponendo un altro piccolo mattone in cima alla costruzione che dichiara di voler demolire quando va in piazza a manifestare. Questo smarrimento comporta inevitabilmente un susseguirsi di trasformazioni quando uno assiste ad una protesta... Nella psicologia dell'evento pacifico, messo in moto da una raziocinante buona volontà di cambiare le cose, si infiltra la pulsione violenta di chi è costretto a trovarsi un fantoccio ostile da attaccare direttamente (a questo proposito, è indicativa la violenza con cui i black bloc hanno aggredito la polizia e gli edifici amministrativi di Roma... Come se il motore dell'Economia mondiale fosse irrelato alla nostra modesta intelaiatura istituzionale). Comunque bell'articolo Lucìo, mi ha fatto molto pensare...
Sono contenta di essermi presa il tempo per leggere e soppesare attentamente quello che avete scritto in questi due articoli... penso che siano frutto sicuramente di una vostra profonda riflessione, perché è tutto scritto in modo chiaro e lineare senza che ciò infici la capacità dell'informazione di colpire, far pensare, trasmettere.
Dall'avvento di internet in poi il mondo è diventato un moltiplicarsi di idee in confusione, e cercare di riunire le proprie in qualcosa di semplice, che non si distacchi troppo dal giornale ma che vada in cerca di una dimensione propria, è l'unica soluzione che ci si presenta.
Quindi vi dico che sì, nonostante la frammentarietà cui internet ci costringe e che non riesce a non risultarmi antipatica, sicuramente tornerò qui a leggere quel che vi sarà scritto e, qualora ci si presenti l'occasione, sarò qui a collaborare con voi... perché ogni esperimento di questo tipo può solo farci crescere.
Con tanto affetto e tanta stima,
Ludovica
Molto interessante, ho apprezzato molto gli interventi finora pubblicati, sia per il contenuto, sia per la forma piacevole e chiara in cui sono stati esposti. Personalmente sono tra quelli che sentono molto l'esigenza di un cambiamento, profondo, della società, non solo italiana ma globale. Francamente non credo nelle rivoluzioni, non mi definirei un rivoluzionario, ma paradossalmente sono consapevole che quello che mi auspico sia non meno di una vera e propria rivoluzione. Una rivoluzione che sia culturale, prima di tutto. Motivo per cui guardavo con molta speranza alla manifestazione dei cosiddetti Indignati. Per me rappresentavano un popolo intero che pacificamente scendeva in piazza per dire "siamo sdegnati da questo modo di intendere la politica"; la pensavo come un'autentica prova di democrazia, non una sua imitazione falsa e ingannevole in cui la gente vota poche persone imposte da altre persone le quali perseguono gli interessi di una ristretta cerchia di "politici", di una casta, separata dalla società e, peraltro, manovrata da interessi economici personali e non, ma in cui la società stessa divenisse protagonista innanzitutto nell'esprimere la propria indignazione, e poi, speravo, nel proporre alternative. Il popolo che direttamente si propone come guida di sè stesso, come protagonista del cambiamento.
Tutto questo è stato distrutto dalla violenza. Disperati che non avevano altra alternativa a quella di distruggere, senza avere gli strumenti e le idee per costruire? Infiltrati appositamente istruiti per delegittimare un'intera manifestazione? Non lo so. Quello che penso è che più che mai è necessario un cambiamento culturale, come ho detto all'inizio. Cambiare il modo di pensare allo Stato, alla società, allo stesso vivere nel mondo. Come scrivi tu citando La Repubblica, mettere prima l'uomo e poi il profitto. superare la dicotomia tra sviluppo scientifico ed economico e sviluppo artistico, educare le nuove generazioni non solo alle nuove tecnologie, ma anche allo sviluppo di una sensibilità visiva, musicale, estetica. Non penso certo a un futuro di soli geni e artisti, ma se lo sviluppo di ogni facoltà umana, sia scentifica che artistica, fosse incoraggiato fin dai primi anni di vita ed entrasse a far parte dei normali percorsi di istruzione, tutti o almeno la maggior parte acquisirebbero la profondità interiore necessaria anche per un esercizio consapevole e attivo della democrazia.
Rispondo ai commenti:
Per Andrea: purtroppo non riesco a visualizzare il link, in ogni caso conosco l'opinione di Vendola, e in gran parte la condivido. Anche se mi sembra un pò banale il concetto del "corteo spaccato a metà". Per quanto la stragrande maggioranza dei partecipanti fosse pacifica, certamente le frange più violente, non sono semplicemnte da identificare come "teppisti". La loro violenza è uno sfogo di frustrazioni represse come ho già scritto nell'articolo.
Per Jimmy: Sono d'accordo con te riguardo lo smarrimento difronte a quello che tu definisci "il fantasma del sistema". Ed è proprio questo il motivo dal quale nasce o l'indifferenza, o risposte irrazionali quali la violenza. Come ho scritto nell'articolo, il "sistema" appare una calamità naturale, indefinita, non concreta, non controllabile dalla nostra volontà. Ma è proprio dalla presa di coscienza che "il sistema" è dentro e fuori di noi, che nasce l'indignazione. Quando vado a comprare il pacco degli spaghetti alla bottega del biologico e del commercio solidale, io il sistema lo sto cambiando, dentro e fuori di me.
Per Ludovica: E' vero la rete è confusa, un bombardamento di informazioni diverse, spesso senza un senso, non controllate, non canalizzate. Ma la rete è anche democratica, la rete è di tutti e per tutti, e le mie idee qui non conoscono censura e non conoscono "la scaletta" attraverso la quale bisogna passare per esprimerle su altri mezzi come i giornali. Dunque nonostante i difetti della rete, noi la sfruttiamo nelle sue potenzialità e cerchiamodi farlo al meglio possibile.
Per Alessandro: Concordo perfettamente con te quando metti in realazione "democrazia" e "cultura". E' proprio dalla memoria, dalla conoscenza, dalla consapevolezza storica e artista che può nascere quella voglia di attivismo, quella voglia di dire "non così non va". Un popolo di ignoranti è il più facile da governare, è il popolo che non pretende la vera democrazia, perchè non sa cos'è.
Innanzitutto ti ringrazio,Lucia, per avermi invitato a partecipare.
Quanto alla discussione, tutti gli articoli che ho letto sono assolutamente condivisibili anzi difficilmente non condivisibili.
C'è però una riflessione di cui vorrei parlarvi:
NOI GIOVANI
Guardiamo con ammirazione il popolo in piazza, che fa la "vera" democrazia;
critichiamo e ci distacchiamo dal sistema dei partiti, che deploriamo e avvertiamo lontano.
Le ragioni per cui questo accade non serve siano spiegate: la mortificazione culturale e morale che investe quotidianamente le sedi del potere è su tutti i giornali.
Inoltre i partiti, come li conosciamo, non sono strutturati su una base sociale ma su "personaggi" di spicco: ed eccoci ad associare il PDL a Berlusconi, il PD (nella sua corrente principale) a Bersani, SEL a Vendola, LEGA NORD a Bossi e via dicendo...
LA CONSEGUENZA E' CHE QUANDO IMMAGINIAMO L'INTERVENTO POPOLARE IN POLITICA (QUELLO "DAVVERO DEMOCRATICO") PENSIAMO ALLA MANIFESTAZIONE IN PIAZZA E NON AI PARTITI.
(A questo punto serve precisare che non sono un tesserato di nessuno di questi, altrimenti non parlerei con la prima persona plurale.)
Dimentichiamo, quindi, che NON ESISTE UN DOPPIO BINARIO: 1.SOCIETA'; 2.PARTITI.
Dimentichiamo,ancora,Che i partiti dovrebbero essere lo strumento privilegiato per partecipare e influire sulla vita politica.
Non tiratemi fuori la legge elettorale; quella fa schifo e si sa. Non si tratta solo della rappresentanza in parlamento: I PARTITI SONO PRIMA LA BASE SOCIALE DI ISCRITTI E SOLO POI I LORO RAPPRESENTANTI.
Questo significa che noi, giovani di aspirazioni, studenti interessati e persone consapevoli dovremmo iniziare a pensare di RIAPPROPRIARCI DEL PARTITO COME MANIFESTAZIONE DEI NOSTRI INTERESSI E DEL NOSTRO PENSIERO.
cosa ne pensate?
Nicola Guastamacchia
Ciao Nicolò grazie a te per il tuo commento. Il problema della distanza fra "partiti" ed "elettori" è vero, è sempre più evidente. Quando si pensa alla democrazia vera si pensa alle manifestazioni apartitiche, senza colori. Questa cosiderazione a mio parere nasce da due motivi
1) Ci sono alcuni valori e diritti che devono essere rispettati a prescindere dal colore partitico; e siamo in un periodo in cui questi diritti fondamentali vengono puntualmente violati, e dunque la voglia di difendere qualcosa ad ogni costo al di là delle divisioni ideologihe.
2) Come dici tu, sembra essere tornati ai partiti di notabili di fine ottocento, in cui il "partito" giro intorno ad un leader di spiccata personalità.
Dunque sono d'accordo con te quando dici di riappropriarsi dei partiti, di tornare a sentirli come il luogo più atto alla manifestazione diretta del nostro pensiero.
Allo stesso tempo però continuo ad ammirare quelle manifestazioni che vogliono continuare ad essere apartitiche, in quanto continuano ad evidenziare valori e diritti che non possono e non devono essere solo da una parte.
Condivido il bisogno di ricomiciare a concepire il partito come una "casa comune", un nucleo identitario compatto che possa finalmente guidare il rilancio del Paese coinvolgendo la società civile. Ma ogni giorno mi sento più scettico. E' vero, ogni proposta di rinnovamento all'interno dei partiti proviene da personalità in ascesa avide di prestigio. Ma credo sia una deriva inevitabile. L'intero sistema dei partiti soffre di un indebolimento ideologico inarrestabile. A prevalere sono gli interessi dei pochi, della casta, perchè i politici non sono più sottoposti ad alcun vincolo ideale. Il centrosinistra si oppose nel 2003 alla campagna militare in Iraq ma pochi mesi fa ha votato la fiducia all'intervento contro Gheddafi. Questo è solo uno dei numerossimi esempi. Lo stesso vale anche in materia di diritti civili o di bioetica. Il profilo culturale del centrosinistra, se a destra può dirsi inesistente, è confuso e balbettante. Ma non credo che tutto questo si possa imputare ai signori dei palazzi di governo; credo invece in una specie di "mutazione antropologica", per dirla con Pasolini, che riguardi tutti indistintamente. Il PCI e la Democrazia Cristiana rappresentavano prima di tutto due modi diversi di vedere il mondo, prima che di fare politica; erano in questo due "istituti culturali", due Chiese. Oggi non c'è nulla che possa essere paragonato a tutto questo; al contrario l'aspetto peculiare dei nuovi movimenti i protesta è la disomogeneità. Non ci sono programmi, solo aspirazioni autentiche ad un sistema economico più equo e solidale. Tiallego un bell'articolo su di un movimento che sta raccogliendo parecchi consensi in tutta Europa: sono i "Pirati"; per loro le ultime elezioni a Berlino sono state un tripudio. E' un partito giovanile dal "nebuloso idealismo" ma con proposte semplici, concrete: libero accesso ad internet, ecologia, massima trasparenza nella pubblica amministrazione; ecco i loro programmi rendono l'idea di questa trasformazione. Credo che la sinistra abbia bisogno, e qui cito un'espressione particolarmente felice di Nichi Vendola, di "riscrivere il proprio vocabolario", strutturare il proprio programma sulla base di esigenze reali facendo di queste un nuovo patrimonio culturale: ecologia, pacifismo, tutela dell'università e della ricerca, sostegno della piccola imprenditoria, competizione equa, lotta alla povertà e al precariato, tutela del lavoro e della salute, attacco alla criminalità organizzata e all'evasione fiscale.
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-09-19/berlino-sbarcano-pirati-partito-154842.shtml?uuid=Aab4sk5Dsaggio
Ciao, complimenti per il blog e grazie per l'invito.
Quando scrivi: <<“Ai giovani io dico, cercate, e troverete un motivo per indignarvi!”. E i giovani hanno cercato e hanno trovato. >>, sei sicura che Hessel potesse pensare (mutatis mutandis) "cercate su facebook, cercate sui giornali"?
Perché secondo me il vero anello debole del movimento (almeno in italia, sugli altri non saprei esprimermi) è stato il tentativo di copiare il movimento spagnolo, pensando che non si fosse e non ci sarebbe stata nessuna differenza tra noi e loro. Evidentemente così non è stato.
Come hai detto tu stessa, penso che il principio catalizzatore non possa che essere quello politico ma, in questo caso, bisogna superare il momento dell'indignazione (istintivo) e abbracciare un'idea chiara, perchè manifestare contro tutto vuol dire manifestare contro nulla.
(qui trovi delle mie riflessioni a caldo, un pò polemiche e decisamente meno strutturate delle tue: https://www.facebook.com/note.php?note_id=10150336275999495)
Grazie di aver commentato! E di certo le tua riflessioni a caldo sono strutturate almeno quanto le mie :) Condivido gran parte di quello che hai scritto: E' vero il sentimento dell'indignazione ha travolto in senso orizzontale dagli Stati Uniti all'Italia, ma ciascuna nazione ha le sue peculirità che devono essere evidenziate nel movimento anche se è di matrice internazionale, senza applicare come dici tu il metodo "copia incolla". In Italia in particolare il movimento avrebbe potuto facilmente prendere della posizioni nette e schierarsi contro qualcosa in concreto e non per ideali " a tratti utopici", come ho già scritto. Nonostante ciò non posso non difendere e non entusiasmarmi per quella "reazione istintiva" come tu dici, per l'indignazione. E' chiaro che la manifestazione non era ben organizzata, che si andava a combattere contro un fantasma dai contorni sfumati, ma io questo lo considero comunque un passo in avanti. Ho visto troppa indifferenza, troppi che sono rimasti con le mani in mano, troppi chiusi nella loro piccola etica privata e borghese. L'indignazione è solo il primo passo. il problema è che in Italia è stato già tutto stroncato sul nascere, non c'è stato il tempo di capire chi sono questi indignati! Anzi forse non lo sanno bene neanche loro! Per questo io dico, non ci escludiamo, continuamo a parlarne, può essere l'inizio di un cammino positivo.
grazie lucia per avermi invitato su questo blog. ormai la dimensione del web è diventato come l'approdo in un "nuovo mondo" con regole e possibilità che purtroppo sono precluse in quello reale. io credo che tutto ciò che sta avvenendo, il riaffiorare di un movimento come questo, che trae la sua forza dal sentimento e dalle emozioni, e che ha in questo una sua forma di identita è molto indicativo. nella frammentarietà del mondo che atomizza la condizione umana, che specializza e diversifica il lavoro ed i bisogni umani, la dimensione emotiva, umana, sia una delle poche forme, e per la sua intensità e per la sua universalità, in grado di scardinare il sistema attuale. come gran parte dei movimenti contempoporanei, esso deve far fronte ad una società complessa e complicata. a differenza di ciò che dice Scalfari a mio avviso il movimento oggi per la sua varietà e multiformità, ha ben chiare le sue proposte e finalità. tuttavia la possibilità di ridurre tutto ad uno slogan, il tentativo di inserire queste istanze nella burocratizzazione del sistema, di quantificarle, è uno sforzo a mio avviso velleitario. per capire e comprendere le ragioni che spingono ilmovomento nel suo insieme a scendere in piazza bisogna ricercarle nelle singole esperienze individuali, nei singoli gruppi, nella pluralità di voci. la complessità e la pluralità non mina alla forza del movimanto anzi esprime un'esigenza comune di esssere ascoltati, rappresentati ed inseriti in una società sempre più distaccata dall'uomo e dal cittadino. la vera novità e la vera forza sta nella capactà di mettere in relazione questa costellazione di soggetti, di creare un nuovo modello di democrazia.
Grazie nicolò per il tuo commento, mi ha fatto pensare. Grazie perchè stiamo realizzando quello che desideravamo, un dibattito, un confronto, uno scambio di idee. In ogni commento si è aggiunto un nuovo punto di vista, e ciò che ne sta venendo fuori è qualcosa di complesso. complesso nel senso più bello del termine. Quel complesso che porta a scavare nella profondità delle cose e dunque a capirne la vera natura.
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