La notte dei beni culturali italiani è proprio quella in
cui tutte la vacche sono nere. Il problema rimbalza fra un governo
e l’altro e seguendo la linea Bondi-Galan-Ornaghi siamo giunti a toccare
il fondo del baratro. Sotto questo inqualificabile triumvirato i
tagli alla cultura hanno raggiunto i massimi storici. Il nuovo ministro Bray cerca di
barcamenarsi alla men peggio: fra le mani ha solo i danni accumulatisi in anni
di degrado, indifferenza, abbandono.
Nello squallido panorama politico italiano di quando in
quando riemerge il problema Pompei, qualche slogan, qualche luogo comune,
appelli di intellettuali sdegnati : il contesto perfetto per strumentalizzare
un’emergenza nazionale e scrivere fiumi di retorica alla maniera del piccolo
politico italiano alla ricerca di consensi.
Abbiamo gridato allo scandalo per la nota e ironica frase
del ministro Tremonti, <<Fatevi
un panino con la Divina Commedia>>, a cui giustamente abbiamo risposto
con un altro slogan, <<Con
la cultura si mangia>>. Ed
è proprio dell’interpretazione di questo slogan che mi preme dire, poiché tocca
un punto cruciale per il destino del nostro patrimonio artistico, ovvero
l’intervento dei privati nei beni comuni.
Nelle condizioni attuali, è impossibile non ammettere che
le offerte milionarie dei privati non possano che dare ossigeno ai nostri
musei e siti archeologici agonizzanti. Ma dove sta il limite? Cosa
intendiamo per mangiare con la
cultura? Qual è il confine fra la nobile considerazione del
patrimonio artistico come risorsa economica della collettività e la
mercificazione dell’arte stessa?
Il confine è molto labile a quanto pare, dati gli ultimi
discutibili avvenimenti nella stessa culla della cultura italiana:
Firenze. <<Gli Uffizi sono
una macchina da soldi, se li facciamo gestire nel modo giusto>>, sono
parole del sindaco Matteo Renzi proprio in queste ore ancora al centro delle
polemiche riguardo la festa privata della Ferrari sul Ponte Vecchio,
sostanzialmente sequestrato al libero passaggio dei cittadini. Ed è ancora a
Firenze che lo scorso gennaio la Sala dei Cinquecento è divenuta la location di
una sfilata di moda di Ermanno Scevrino, gli Uffizi invece di una sfilata di
Stefano Ricci in stile “neocoloniale” con tanto di tribù di Masai in apertura
(importati come bestie da circo) che sventolavano lance e scudi fra i quadri
rinascimentali. Gli Uffizi ancora, sono stati affittati per una intera
giornata in onore di una visita privata di Madonna, sottraendo il museo
alla collettività. Piazza Pitti e Piazza Ognissanti chiuse ai fiorentini poiché
“sala ricevimenti” di un matrimonio di un magnate indiano. Ancora sfilate
di moda e questa volta la location è la chiesa sconsacrata (ma tutt’ora
appartenente alla Curia) di Santo Stefano al Ponte, sempre a Firenze, dove
modelle seminude hanno posato sull’altare, luogo del sacrificio eucaristico per
secoli e dove giaceva una nota pala del Beato Angelico. Spostandoci
altrove possiamo vedere il nostro Colosseo diventare un brand targato Della
Valle, serate mondane private nella Galleria Borghese, Piazza del Pleibiscito a
Napoli usata come location del concerto di Bruce Springsteen, accessibile
ovviamente solo a pagamento. Sono solo alcuni esempi di come il concetto
di cultura intesa come “risorsa economica”, scada facilmente in una pure e
semplice mercificazione. Pieghiamo anche il nostro patrimonio artistico alla
logica del profitto, nascondendo il tutto sotto presunti mecenatismi.
Tuttavia è proprio il mecenatismo, nella sua forma
originaria che può essere l’ago della bilancia, la partecipazione di un soggetto privato del tutto
disinteressato che “rasenta il dono e trova nel
prestigio del mecenate stesso la
sua ragione d’esistenza”. Un esempio?
Il magnate tedesco Wurth finanzia il restauro della
Cappella Palatina di Palermo. Cosa vuole in cambio? Nulla, solo la
realizzazione di una mostra della sua splendida collezione privata di opere di
Christo e Max Ernst. L’industriale Della Valle invece finanzia in restauro del
Colosseo in cambio di diritti di immagine per 15 anni, cioè una sorta di
contratto che ha nella
pubblicità la sua unica
ragione d’esistenza. I soldi
di Wurth sono per l’arte, i soldi di Della Valle torneranno a lui stesso
tramite la gestione privata del più importante monumento italiano. L’aurora dei beni culturali
italiani la vedremo dunque nascere solo quando si imparerà a scegliere.
Lucia de Marco
Fonti:
-"Beni culturali sempre più privati" di Tommaso
Montanari, Il Fatto Quotidiano, 6 Luglio 2013
-"Patente a punti" di Marcello Faletra,
Artribune, 29 Giugno 2013
-"Beni culturali anche il Ministero è moroso: bollette
non pagate per 40 milioni", Repubblica, 6 Luglio 2013
-"Lo strillone: Bondi, Galan e Ornaghi avrebbero
affossato anche la Firenze del Riascimento", di Francesco Sala, Artribune,
6 Maggio 2013