Tralascerò i rituali preamboli perché i fatti
sono noti a tutti, e andrò dritta al punto: sabato abbiamo assistito in diretta
alla ennesima disgregazione della sinistra italiana, e alla resa (non formale
ma materiale) della Repubblica Parlamentare;
e l’incapacità di mediazione fra
popolo e palazzo è il dato essenziale per comprendere entrambe le disfatte. Il
Parlamento non è più il collante fra
paese reale e paese legale, dunque urge che
la nazione torni ad autogovernarsi eleggendo direttamente la più alta
carica dello stato. La corte dei miracoli guidata da PD, Scelta Civica e PDL in
processione al padre generoso è una sorta di ammissione di impotenza. E il
padre, al limite fra reale generosità e il reiterato errore di viziare i figli,
accetta, pur non avendo elisir di lunga
vita. Il punto è dare un nuovo assetto istituzionale a questo paese, per sua natura immobile nella storia fra
dittature o municipalismi: una democrazia stabile in Italia è un ossimoro. Un
Parlamento incapace, un “presidenzialismo di fatto” e dunque il funerale dei
partiti: il PD riposi in pace, ma la sua è solo la cronaca di una morte
annunciata. E’ vero: ci ho sperato, ho
creduto (e credo ancora) nella buona
fede di Pier Luigi Bersani, ma la campagna elettorale “con le mani in tasca” ha
solo ridisegnato la ben nota parabola dei perdenti a vita. Ha ragione Renzi,
alla sinistra piace perdere, ha ragione Civati, la sinistra odia la sinistra,
ha ragione Travaglio: siete coglioni o siete complici?. Ma nel desolante
processo di autodistruzione del PD, finalmente sono venuti al pettine tutti i
nodi di questo partito che ha soffocato differenze troppo profonde per essere
trascurate. Il PD è una compagine disomogenea che è esplosa al punto di negare
se stessa col gesto infame che ha tradito Prodi. Valicato (ancora una volta) il
limite del “mai con Berlusconi”, ecco riemergere tutte le contraddizioni. La base ancora illusa
e delusa, manifesta, reclama dignità, brucia le tessere, occupa le sedi. “Perché
no Rodotà”, è la domanda di tutti, ed è il punto della questione. E’ lo
spartiacque che delimita la fine degli interessi di parte, esattamente alla
stregua del “Perché no la Boldrini”, “Perché no Grasso”: le domande degli
elettori del M5S, affatto esente da queste logiche. Come ha giustamente
proposto il Manifesto l’auspicio è un anno zero della sinistra. La scissione
del PD non è un rischio, è doverosa per un elettorato puntualmente ingannato,
che vota in negativo, vota il famigerato “meno peggio”. Mentre in alto si conferma il presidente del
nuovo inciucio, il PD ceda “le insegne imperiali” alla base, solo da qui poi,
si può ricostruire.
Lucia de Marco