“Nei
momenti più oscuri del nostro nichilismo, ho cercato soltanto le ragioni per
superare quel nichilismo. E non per virtù, né per rara elevatezza d’animo ma
per istintiva fedeltà a una luce in cui sono nato e dove gli uomini hanno
imparato da millenni a salutare la vita anche nella sofferenza”
A.C.
Non
c’è pace per Camus. Un articolo del 17 Settembre scorso apparso sul Corriere
della Sera riferisce delle accese polemiche sulle celebrazioni del centenario
della nascita dello scrittore algerino. Resta ora vacante il posto di
organizzatore della mostra che gli sarà dedicata nel Novembre del 2013 ad
Aix-en-Provence. Il compito, prima affidato da Cathrine Camus, figlia dello
scrittore, a Benjamin Stora ed ora abbandonato anche dal filosofo Michel Onfray
, non riesce a trovare il giusto interprete. Stora, storico colonialista, era
stato licenziato per le pressioni della Destra di Aix-en-Provence, per le sue
posizioni sul ruolo avuto da Camus nella lotta per l’indipendenza algerina.
Strenuo difensore della convivenza tra arabi e pied-noirs, Camus osteggiò
fortemente la politica repressiva dell’amministrazione coloniale francese nei
confronti degli “indigeni”, senza però mai fomentare le pulsioni terroristiche
del Fronte di Liberazione Nazionale algerino. Onfray, trovando per contro le
diffidenze della Gauche e del ministro della cultura Aurélie
Filippetti, ha deciso di rinunciare all’incarico. Parlando di “nave dei folli”,
Onfray ha denunciato le macchinazioni e le ipocrisie di una vera e propria
guerra civile nel mondo della cultura francese. Uno scenario
tristissimo che certamente non rende onore all’onestà intellettuale di Camus. A tutto ciò fa eco il
dibattito turbolento in Algeria sulla vicinanza dello scrittore alla causa
dell’indipendenza. Totem del colonialismo francese o difensore del popolo
arabo? La figura dell’autore
de “La Peste” continua a dividere e a suscitare accanite opposizioni.
Riferimento della
sinistra comunista, e “annesso” da Comunione e Liberazione nel tradizionale
meeting riminese del 2010: il paradosso rende bene l’idea della difficile
collocazione di uno spirito libero e anarchico. C’è probabilmente una ragione
profonda nell’impossibilità di ridurre il pensiero di Camus a scorciatoie
dogmatiche e semplificazioni faziose. Il vestito messo a “L’Uomo in rivolta” è
troppo stretto.
Come scrive in uno dei
saggi de L’Estate “ogni mutilazione dell’uomo può essere soltanto provvisoria e
non si serve in nulla l’uomo se non lo si serve tutto intero.” Alla dottrina
Camus antepose sempre l’uomo, tutto intero, con le sue esaltazioni e le sue
bassezze, i suoi amori e suoi crimini. Di fronte alle guerre e
alla distruzione del suo secolo grondante di sangue, Camus non dimentica la
bellezza delle spiagge sabbiose dell’Algeria, il sole accecante del
Mediterraneo che illumina e abbaglia. “Al centro della mio opera” disse “c’è un
sole invincibile”. Un’infanzia vissuta
nella miseria non gli poté impedire di godere dello splendore del suo paese;
uno splendore che portò sempre nel cuore per tutta la vita. E’ questo ciò che
lo distingue fondamentalmente da tanto pessimismo diffuso tra gli intellettuali
del suo tempo.
Il Novecento è stato il
secolo della totalità: il nichilismo getta l’uomo a capofitto nell’inferno
della guerra, e della rivolta per la conquista di una salvezza assoluta. Ad una
giustizia parziale l’uomo preferisce una ingiustizia generalizzata. Ma nessun ideale
giustifica l’omicidio; la speranza di una salvezza di là da venire non
garantisce a nessuno il diritto di armare la propria mano.
Nel secolo della
totalità egli rivendicò il valore della misura. La Nemesi, nell’antica Grecia
non è la Dea della vendetta ma quella della misura, che punisce chi varca il
limite. Il grido della rivolta,
alla lunga, irrigidisce il cuore, e l’uomo che protesta finisce per dimenticare
le ragioni del suo stesso dolore. La
ricerca della giustizia invece impone invece di tenere lo sguardo sul confine
indistinto che separa la luce dall’ombra, la bellezza dalla morte. Denunciare
l’ingiustizia, senza voltare le spalle alla luce: questa la via spirituale di
Camus per una salvezza terrena. Ed è forse proprio la
fedeltà alla misura che spiega le apparenti ambiguità sulla questione algerina:
Camus non smise mai di credere nella possibilità di una serena convivenza tra
il popolo algerino e i francesi. Tuttavia, solo la parità dei diritti, una Costituzione
e un Parlamento indipendente avrebbero potuto portare ad una serena risoluzione
del conflitto. L’ostracismo dei pied-noirs avrebbe reso impraticabile questa via, spingendo gli algerini alla
rivendicazione armata, condannata da Camus senza mezzi termini.
Annettere Camus alla propria causa resterà un’impresa ardua, ma non ce ne dogliamo. Non è forse questa la più autentica certificazione della forza di un uomo che, più che a tutto il resto, aspirava alla pace e alla libertà?
Annettere Camus alla propria causa resterà un’impresa ardua, ma non ce ne dogliamo. Non è forse questa la più autentica certificazione della forza di un uomo che, più che a tutto il resto, aspirava alla pace e alla libertà?
Alberto Donadeo
Fonti:
-Questa lotta vi riguarda. Corrispondenze per Combat
1944-1947” Albert Camus, I Edizione
Bompiani2010
-“L’Estate e altri saggi solari” Albert Camus II Edizione
Tascabili Bompiani 2010