La crisi economica e finanziaria che dai primi mesi del
2008 si è diffusa in Europa dagli Stati Uniti indica uno stato di debolezza e
di stallo dei mercati europei, che si oppone alla (apparente) stabilità e
tranquillità degli anni precedenti. Oltre ad interessare il settore economico,
la crisi rivela le sue propaggini in quello sociale e politico. Mettendo da
parte (in questo articolo) l’elevatissimo numero di persone appartenenti alle
fasce più deboli della società che sono state direttamente colpite dalle
politiche fiscali e monetarie dei governi volte a risanare le casse dei singoli
stati, concentriamoci su un aspetto della crisi in ambito politico europeo.
La crisi economica ha messo in ginocchio numerosi governi
dei paesi dell’Unione Europea, è stata la causa primaria della caduta di molti
ed è all’origine della linea dura adottata da altri – vedi la Germania – nei
confronti dei PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna, vale a dire
quei paesi che presentano instabilità e debolezze a livello dei conti
pubblici). Gli stati più forti, invece, intenzionati a non farsi corrodere interiormente
dall’ondata di crisi come i propri vicini, sono sostenitori di politiche
interne chiamate a rispondere sempre di più alle esigenze elettorali nazionali,
al fine di mantenere il potere. Si è entrati in un circolo vizioso della crisi
economica e della politica, le cui conseguenze
sullo stallo economico rischiano di essere irrimediabili e la situazione
risulta ulteriormente aggravata.
Grecia nel 2009, Portogallo, Spagna e Italia nel 2011,
Olanda nel 2012, sono i paesi che, dopo aver sottoposto le misure di austerity
ai propri parlamenti o non essendo più in grado di reggere il confronto a livello
europeo e internazionale, hanno attraversato una fase di instabilità politica sfociata
nelle dimissioni dei rispettivi Primi Ministri. In quattro casi su cinque le
sorti del paese sono state poste nelle elezioni anticipate fatta eccezione
dell’Italia (che ha schierato in campo un governo di tecnici ). Grecia,
Portogallo e Spagna hanno assistito al passaggio di leadership dal partito di
maggioranza all’opposizione: in Grecia si è passati dal partito di centro
destra di Nuova Democrazia ai socialisti del Pasok; in Spagna e in Portogallo
il passaggio è stato opposto, con la vittoria dei conservatori del Partito
Popolare di Rajoy in Spagna e del centro destra guidato da Coelho in Portogallo.
Rimane tutt’ora un’incognita la situazione in Olanda che, a poco meno di un
mese dalle elezioni (12 settembre 2012), vede in testa il partito Socialista di
opposizione, davanti alla destra uscente. In questi casi, dunque, la crisi
economica e le difficoltà nel fronteggiarla, hanno svolto il ruolo di boia,
limando dall’interno i sistemi politici europei, causandone la chiusura
anticipata dei battenti.
In simili circostanze è avvenuto il passaggio del testimone in Finlandia e
Francia. All’Eliseo, il candidato del partito Socialista, François Hollande, ha
riportato una risicata vittoria sull’ex presidente Nicolas Sarkozy,
interrompendo la “tradizione” che da oltre trent’anni vedeva la riconferma del
candidato uscente per il secondo mandato, ma soprattutto riportando la sinistra
al governo, cosa che non accadeva dai tempi di Mitterand (1981-1995). Le
elezioni nel paese scandinavo hanno riservato altrettante sorprese: il partito
conservatore ha riportato una storica vittoria in Finlandia, guidata dai Social-Democratici
(tra l’altro neanche arrivati al secondo turno) dal 1982.
Assistiamo quindi ad una paralisi dei “sistemi politici”
europei, in quanto l’instabilità rallenta le procedure di governo, tra cui lo
stesso meccanismo di difesa di ogni singolo stato contro la crisi economica. A
questo si va ad aggiungere la paralisi dell’azione combinata europea, dovuta al
prevalere delle politiche nazionali su quelle di interesse comune europeo. Il
progetto di una Federazione degli Stati Europei, già formulato dai padri
fondatori dell’UE dopo la Seconda Guerra Mondiale e che ultimamente è tornato a
farsi sentire tra i valori dei pro-europeisti, è minacciato costantemente dalla
linea dura adottata da alcuni paesi, notoriamente la Germania, a cui
recentemente si vanno ad aggiungere Finlandia e Olanda. I leader di questi
paesi, gli unici del sistema monetario Euro a mantenere la tripla A nelle
agenzie mondiali di rating, sono costantemente condizionati nelle loro scelte a
livello europeo dagli interessi esclusivi delle campagne elettorali nazionali.
Ne sono un esempio fresco i veti di Finlandia e Olanda sulla proposta riguardo
lo Scudo Anti-Spread, accordato nell’ultimo vertice Europeo del 28-29 giugno
2012. I conservatori in Finlandia e Olanda (in attesa delle elezioni, la destra
in Olanda mantiene provvisoriamente il potere) vogliono mostrare la linea dura
che li caratterizza e che, nel caso di Finlandia, li ha portati alla testa del
paese. Meno concessioni sul fronte comune europeo, infatti, apparentemente
significa mantenere la propria stabilità economica e finanziaria.
Caso simile si riscontra in Germania, dove Angela Merkel è già da tempo in piena campagna elettorale. Sebbene le elezioni presidenziali siano fissate per il 2013, nel maggio scorso la cancelliera tedesca ha riscontrato un sonoro calo dei consensi nelle elezioni dei parlamenti federali delle regioni Renania Settentrionale-Vestfalia e Schleswig-Holstein. Inutile dire che questi avvenimenti della politica interna stanno determinando la linea dura del leader tedesco e le sue fredde prese di posizione (“gli Eurobond non si faranno finché vivrò”), paralizzando pesantemente gli interventi dell’Area Economica Europea volti ad arginare la crisi.
Caso simile si riscontra in Germania, dove Angela Merkel è già da tempo in piena campagna elettorale. Sebbene le elezioni presidenziali siano fissate per il 2013, nel maggio scorso la cancelliera tedesca ha riscontrato un sonoro calo dei consensi nelle elezioni dei parlamenti federali delle regioni Renania Settentrionale-Vestfalia e Schleswig-Holstein. Inutile dire che questi avvenimenti della politica interna stanno determinando la linea dura del leader tedesco e le sue fredde prese di posizione (“gli Eurobond non si faranno finché vivrò”), paralizzando pesantemente gli interventi dell’Area Economica Europea volti ad arginare la crisi.
Dunque, finché gli interessi nazionali dei paesi dell’Unione
Europea prevarranno sulle decisioni comuni, finché i singoli governi non
rinunceranno in scala sempre maggiore alla sovranità nazionale in favore di una
solida federazione degli Stati Uniti d’Europa, la crisi non potrà mai essere
superata definitivamente. Per questo motivo, solamente dopo le elezioni in
Germania e in Italia - rispettivamente prima e terza economia europea - vale a
dire solamente a partire dalla fine del 2013, ci si potrà aspettare una valida
risposta sul piano della coesione. Una prospettiva, questa, che non
tranquillizza affatto i mercati europei, i quali faticano a venire fuori da una
crisi che necessitava da tempo una risposta coesa e decisa. Basti pensare all’esempio
degli Stati Uniti, da cui tutto è cominciato, che nonostante i dati e le percentuali
che tuttora lasciano a desiderare, sono riusciti a ribaltare una situazione a
loro sfavorevole soprattutto grazie al pronto intervento della Federal Reserve,
la banca centrale federale.
Tra l’altalena degli spread e dei rendimenti, la paura
del contagio e della deflazione, l’uscita della Grecia dall’Euro, gli aiuti
alle Banche Spagnole, la speranza, si sa, è sempre l’ultima a morire. Per tanto
tutti insieme, pro-europeisti, chiediamo che la politica europea prevalga sugli
interessi nazionali e che i capi di governo tornino a meritarsi il titolo di
leader “europei” agendo in fretta e lavorando all’unisono per raggiungere
risposte concrete alla crisi economica prima del 2014.
Andrea Longo