Quindici
anni di arresti domiciliari non hanno
appassito gli splendidi fiori che ornano
i suoi capelli né la sua tenacia politica. L’esile e dolce figura della Lady
birmana San Suu Kyi si concilia armoniosamente col suo temperamento
appassionato, l’ideale di lotta politica e resistenza non violenta. Siamo tornati a parlare di lei con entusiasta
soddisfazione per la schiacciante vittoria elettorale dello scorso 2 Aprile.
San Suu Kyi rinnova il suo premio Nobel
per la pace ponendosi nuovamente e senza riserve a capo del movimento
democratico birmano. L’affermazione di un sistema pienamente democratico nel
Myanmar è una storia che trova il punto di snodo proprio nella vittoria
elettorale del 1990 di San Suu Kyi, leader della Lega Nazionale per la
Democrazia, alla quale di diritto
spettava il ruolo di Primo Ministro. Il
voto popolare, rovesciato dalla dittatura militare che ancora oggi governa il paese, fu annullato e San Suu Kyi condannata
agli arresti domiciliari, rinnovati di seguito dal 1991 al 10 Novembre 2010,
giorno della sua liberazione. A tenderle
una mano è stato il presidente Thein Sein che se pur nell’incondizionato potere della
dittatura militare ha avviato una stagione di riforme democratiche, scarcerato
centinaia di detenuti politici e avviato un dialogo per una “riconciliazione
nazionale” con la leader dell’opposizione, messa fuori legge per quasi un
ventennio. Fra questi tentativi di
apertura democratica si inseriscono le elezioni dello scorso 2 Aprile, che
assumono un significato poco più che
simbolico: si rinnovano solo 45 seggi di
ben 664 del parlamento birmano, che rimane sostanzialmente in mano ai militari.
Tuttavia la portata di questa vittoria dell’opposizione va ben oltre il
semplice rinnovo in parlamento di pochi deputati: San Suu Kyi , consapevole dello scarso potere
del suo partito, apre comunque uno spiraglio per dar voce alle “aspirazioni del
popolo”, e per avviare un percorso che la porti dritta alle elezioni
presidenziali del 2015. A pochi giorni dalle elezioni , e con pochissimi poteri
effettivi già comincia a far sentire la sua presenza scomoda boicottando la prima seduta in parlamento che
prevedeva il giuramento di fedeltà alla Costituzione militare. Ma in questo momento cruciale di battaglia
politica è assolutamente necessario non abbandonarsi a speranze poco
realistiche. Ci troviamo davvero difronte alla transizione verso un regime
democratico col consenso dei militari, o l’apertura del governo di Thein Sein
nasconde un fine economico?
Come
è ben noto il Myanmar è soggetto a sanzioni economiche da parte dell’UE che
interferiscono modestamente sul bilancio economico del paese, tuttavia impediscono uno sviluppo sulla scia del
modello cinese. I giganteschi giacimenti di gas del paese non incidono
sull’economia nazionale, nonostante l’enorme potenzialità, a causa della
mancata collaborazione con l’occidente. Forse che l’apertura democratica non
sia un modo per uscire dallo stato
d’isolamento imposto dalle organizzazioni internazionali? Effettivamente la
risposta dell’unione europea alla liberazione di San Suu Kyi è stata di un
alleggerimento delle sanzioni economiche come incoraggiamento per nuove riforme
democratiche. La questione è controversa, tuttavia la capacità politica della
Lady che ha incantato il mondo lascia ben sperare alla nascita di un regime
democratico raggiunto attraverso l’ideale di
resistenza passiva, sulla scia di Gandhi e Nelson Mandela, le grandi
icone della lotta politica attraverso la non violenza.